È significativo che nella prima domenica, dunque nel primo giorno dell’anno liturgico, ci si dia annuncio di quanto sarà definitivo; il tema più vero non è la fine del mondo, ma ciò che resiste alla fine: la “venuta” del Signore (παρουσίας, è, letteralmente, l’essere vicino). La narrazione è parecchio articolata, inizia dal tempio: il suo venir meno era creduto – dall’orgogliosa certezza religiosa ebraica – segno della fine del mondo. Di lì Gesù inizia il discorso “escatologico”, sulle ultime cose. Il discorso esorta all’attesa del discepolo nel tempo, predice i drammi imminenti, legge la storia; piuttosto che seguirlo puntigliosamente passo, passo, è meglio tentar coglierne globalmente il senso che illumini i particolari. Quando si parla di fine del mondo è facile si muovano timori; su tutto però – notiamolo subito – domina certezza felice della “venuta” del Signore, infatti la fine non è il peggio che tutti paventeremmo: la vittoria del male, ma l’annuncio del vangelo, la sua testimonianza ad ogni uomo.
“Questo vangelo del Regno sarà annunciato a tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine”. Gesù parla con insistenza dei mali che si approssimano, ne fa anche ripetuti riferimenti alla storia futura (questi, nella loro realizzazione, daranno conforto alla fede del discepolo), così parla ai discepoli della tremenda caduta del tempio “l’abominio della devastazione” che fin allude al suo sacrilego impiego, come già narrato nei libri dei Maccabei. Vi è l’enumerazione – con toni tratti piuttosto della letteratura profetica – dei mali che si prospettano; dobbiamo intenderli bene. Innanzitutto: “guerre e rumori di guerre… carestie e terremoti”, sono da leggere come l’ordinario mondano che pur “deve avvenire”; la necessità non è certo della volontà di Dio, piuttosto effetto del male che domina il mondo “ma non è ancora la fine”. Ancora oggi ne leggiamo continuamente segno sui giornali, pure, non è semplicemente il trionfo del male, è il tempo dell’annuncio e della testimonianza del discepolo.
C’è però un male più insinuante e profondo: il falso annuncio di salvezza dei “falsi profeti che inganneranno molti”; è questa la tentazione della fede. Non pensiamo solo dell’esaltato che si proclama messia, son tanti i falsi cristi che proclamano false salvezze, non solo in proclami pseudo-religiosi; la nostra fede è minacciata da molto altro (“il dilagare dell’iniquità… raffredderà l’amore di molti”) falsi profeti li troviamo a proporre sicurezze, salvezza, nel denaro, magari nella salute: in tutto ciò che è modano. Dobbiamo però pensare che il male nella storia non è che ἀρχὴ ὠδίνων, inizio dei dolori (l’allusione è a quelli del parto, dunque che portano la vita, proprio come anche il dolore della croce ha dato possibilità di vita piena nella grazia agli uomini tutti).
Don Giovanni Milani