“DATE A QUI LECCO LIBERA
CIO’ CHE E’ DI QUI LECCO LIBERA,
NON DATE ALLA MAGISTRATURA
CIO’ CHE E’ DELLA POLITICA”

Spettabile redazione,
impossibile rimanere nel ruolo di spettatori, soprattutto dopo la bella ed efficace serata realizzata da QUILECCOLIBERA per documentare in modo minuzioso gli elementi dell’ormai arcinota operazione Metastasi. Si, sarebbe più comodo e meno “compromettente”, specialmente per uno come me che ha perso il posto di lavoro e che sta lottando con altri colleghi per porvi soluzione in questa martoriata città, lasciare la parola ai soliti noti purtroppo sempre pronti a schierarsi  sotto l’ala protettiva di appartenenze e convenienze di vario genere.

Ma se la Democrazia e la Partecipazione non sono parole vuote, occorre che in tanti si prenda posizione su di una materia che è importantissima per la nostra Convivenza Civile : che spazi, “sponde”, contatti e frequentazioni vengono consentiti a comportamenti mafiosi, ancor prima di fatti penalmente rilevanti.

Come insigni testimoni di responsabilità civile hanno professato, e soprattutto praticato nella vita, è il Tessuto Sociale il vero “anticorpo” alla penetrazione criminale. In altri termini, non è con la pura azione repressiva degli organi statali ad essa preposti, pur ovviamente necessaria, che si costruisce uno sbarramento all’inquinamento mafioso. E’ l’insieme dei comportamenti di perlomeno la gran parte dei Cittadini, e specialmente chi li rappresenta ai vari livelli istituzionali ed associativi, che può efficacemente farvi argine.

Ed allora perché sento e vedo ancora spesso riproposta  nei vari interventi pubblici sui mezzi d’informazione quella che qualcuno chiama la grande ambiguità : da un lato si dice che la Magistratura invade impropriamente gli spazi  della Politica e dall’altro si delega alla Magistratura il compito di fare da filtro pubblico di “moralità” e probità”. Compito questo che, per definizione ma non assolutamente per prassi in questo martoriato Paese,  spetterebbe invece proprio alla Società Civile ed in primis alla Politica.

Ne deriverebbe che ancor prima della Magistratura è l’azione della Politica (con la P maiuscola), come della cosiddetta Società Civile, che dovrebbe isolare e mettere al bando frequentazioni, contiguità relazionali e quant’altro indulga o possa anche solo apparire agli occhi della convivenza civile (come diceva il giudice “ragazzino” Rosario Livatino) come “indulgente” nei confronti di comportamenti oppressivi e prevaricanti. E  questa coerenza e linearità di comportamenti dovrebbe a maggior ragione caratterizzare coloro che ricoprono ruoli istituzionali, sia nella loro vita pubblica che privata, proprio in ragione della loro doverosa irreprensibile esemplarità Quello che sconcerta infatti nel leggere letteralmente i “documenti dell’inchiesta”, unica modalità per formarsi opinioni le più oggettive possibili, è che i protagonisti istituzionali coinvolti, aldilà ed ancor prima degli eventuali risvolti penali dei loro comportamenti da lasciar giudicare alle competenti autorità, non abbiano avvertito la necessità immediata di troncare sul nascere rapporti opachi e di non dar corso a frequentazioni e comunicazioni anche solo  “sospette”, per non dire altro : “neppure un caffè si sarebbe dovuto prendere ” avrebbe suggerito un codice perlomeno precauzionale.

Ecco perché non si comprende come, attraverso uno strano meccanismo di rovesciamento delle parti si metta, con varie e più o meno sottili argomentazioni, sul banco degli “imputati” chi, come fa Quileccolibera, non  solo  rende direttamente fruibili  a tutti gli atti dell’inchiesta ma che, da tempo immemorabile e spesso in solitaria e con rischi oggettivi, sta praticando “sul campo” l’impopolare ruolo in questi tempi di “sentinella etica” del nostro tessuto sociale lecchese.

Ci siamo dimenticati di quanto, anni orsono e più d’uno, nei confronti delle loro esplicite denunce sulla “sottaciuta” infiltrazione n’dranghetista nel nostro territorio con fastidio li si accusasse di enfatizzare strumentalmente come “cancro” (metastasi, appunto …) ciò che era invece solo un “foruncolo” ? O quando, precursori antesignani, richiamavano a tutti il pericolo rappresentato dallo straripare “legalizzato” di giochi d’azzardo e slot machines ?

Un conto è nutrire dubbi su alcuni loro atteggiamenti o sulle forme a volte utilizzate ma sarebbe perlomeno un esercizio di disonestà intellettuale, se non d’ipocrisia, non vedere che  spesso hanno “centrato” i problemi e soprattutto non riconoscere loro una scomoda ma  genuina ricerca di Giustizia e Verità.

Germano Bosisio, cittadino