LECCO – “Nella Lecco che anche per lui divenne città, nel nome di Manzoni è stato recentemente inaugurato il rinnovato museo che dell’artista, dell’uomo, del religioso e del politico democratico ha scelto di cancellare le parti fondamentali. A cominciare dalla faccia”. Esordisce così la lettera del Centro Studi Abate Stoppani in merito al recente rinnovamento del museo dedicato all’autore dei Promessi Sposi a Lecco.
“Perché anche in questa fase critica si mantenga integra la capacità e la voglia di comprendere, sul nuovo Museo svolgeremo alcune considerazioni. A partire dal marchio presentato il 26 ottobre 2019 alla sua inaugurazione – affermano – Un marchio di cui non è chiaro il riferimento: è il marchio del Museo Manzoniano? Di Villa Manzoni? Del Sistema Museale della città? Un marchio che si ispira a un dipinto mai stato simbolo del Museo; di un autore ignoto, ancorché sfacciatamente spacciato come Molteni”.
“Ma soprattutto un marchio talebano – continua il centro studi – che cancella la faccia di Manzoni e così ne nega la riflessione sull’essere l’uomo (a immagine di Dio) pienamente consapevole e responsabile in ogni sua azione, cosa assolutamente condivisibile anche da altre prospettive. Da parte nostra abbiamo solidi elementi per sostenere che il Ritratto in questione non è di Giuseppe Molteni. È infatti ben constatabile che il dipinto è stato esemplato da un fotoritratto di Manzoni, proposto in un album edito nell’autunno 1869.
Ma Molteni era morto l’11 gennaio 1867. A margine, non possiamo non evidenziare un incredibile filotto di castronate, degne di Scherzi a parte, offerte ai visitatori del Museo Manzoniano dal suo Direttore scientifico Mauro Rossetto, dall’assessore alla Cultura Simona Piazza, dal signor Sindaco Virginio Brivio”.
“Nella nuova configurazione del museo – annotano – sono state confermate le vecchie criticità: l’impegno politico di Manzoni è presentato in modo veramente inadeguato e anche offensivo sia per l’intestatario del Museo sia per il visitatore, è mantenuto il silenzio nei confronti della sua esperienza religiosa — e quindi del rapporto con Rosmini, fondamentale per comprendere aspetti dell’intera sua opera, fin ostentato l’ostracismo verso l’Abate Stoppani, che dalla morte di Manzoni e per vent’anni svolse un ruolo decisivo per affermarne a livello nazionale il legame organico con la città di Lecco (per es. attraverso il monumento del 1891). In compenso esaltata una tartufesca frode ideologica di Giosuè Carducci; sono inoltre ignorati i molteplici rapporti economici e sociali intessuti da Manzoni a Lecco, in particolare tra il 1807 (quando ereditò il patrimonio famigliare dal padre Pietro) e il 1818 quando, ai suoi trentatré anni, la abbandonò per sempre. Manzoni è presentato unicamente in funzione del suo romanzo, ignorandone il rilevante contributo alla poesia, alla lingua, alla storia, alla politica, al diritto”.
Sono state in compenso apportate inedite novità negative: “è stato cancellato ogni riferimento alla famiglia creata da Manzoni con Enrichetta Blondel, anch’essa per anni vissuta a Villa Manzoni — a ciò nella precedente configurazione si faceva almeno un qualche richiamo; pressoché eliminato ogni riferimento geo-topografico al rapporto tra Villa Manzoni e il territorio lecchese — nella precedente versione quantomeno richiamato con un plastico di non ignobile fattura, nel percorso museale è stata — tra l’altro con grossolani errori di fatto — dedicata una intera Sala alla famiglia Scola, senza ragione posta sullo stesso piano della famiglia Manzoni, un’altra intera Sala del museo — la prima — è inutilmente impegnata nella proiezione in continuo di un filmato di mediocrissima qualità, per nulla sinergico con il contesto museale; di nessun valore per la cultura manzoniana e per di più ambiguo su aspetti della produzione artistica in generale”.
Infine, “è stato per l’occasione creato un nuovo marchio che cancella la fisionomia di Alessandro Manzoni. Una soluzione non solo inadeguata alla funzione cui è chiamato un simbolo grafico ma anche concettualmente negativa se non ostile verso la figura che vorrebbe rappresentare.
La segnaletica esterna e interna al museo è inadeguata; inesistente l’informazione mobile e di memoria; quella fissa, affidata a pannelli testuali pessimamente concepiti, praticamente inutilizzabili per la identificazione e la fruizione consapevole di quanto esposto”.