AUGIAS A TEATRO RACCONTA
UN GESÙ UOMO ED EROE
E PUNZECCHIA I CREDENTI

LECCO – AugiasCapelli bianchi, portamento elegante, voce pacata, sguardo brillante, segno di una vivacità culturale sempre attiva. Giornalista, conduttore in televisione di interessanti programmi (Telefono giallo, Babele, Enigma e attualmente Quante Storie). Una personalità eclettica quella di Corrado Augias, ateo convinto, innamorato però della figura storica di Gesù (cfr. i volumi Inchiesta su Gesù, 2006; Le ultime diciotto ore di Gesù, 2016). Ed è in questa veste che un pubblico attento al Palladium di Lecco ha apprezzato la sua lettura scenica Ecce Homo. Anatomia di una condanna.

Una sedia, un leggio, uno schermo: scena spoglia per un racconto oggettivo, con l’intento di esaltare i tratti grandiosi della personalità rivoluzionaria di Gesù. La critica di Augias si appunta su chi si accontenta del “sentito dire” e non ha la curiosità vitale della ricerca. Solo conoscendo meglio si potrà amarlo, e forse anche dare alla propria fede dei puntelli in più.

Questo dunque è un viaggio nella storia, con l’ausilio di mappe, fonti iconografiche, riferimenti alle Scritture e ai riti ebraici di quell’età antica, frammenti video tratti da film famosi, Gesù di Nazareth (Zeffirelli, 1977), L’ultima tentazione di Cristo (Scorsese, 1988) e Il Vangelo secondo Matteo (Pasolini, 1964). Fra i personaggi secondari incontriamo naturalmente il romano Ponzio Pilato, funzionario mediocre, che nulla aveva capito della complessità del mondo giudaico, e la figura tragica di Giuda, che tradisce forse perché ha ricevuto ordine da Gesù stesso.

Gesù (Yehoshua in ebraico; Cristo invece è il titolo teologico) è un visionario, un profeta di grande carisma, “dominato dal senso della missione, per cui ogni cosa diventa secondaria“. Augias si toglie qualche sassolino, deprecando le letture semplicistiche: “non era certo l’agnellino buono della teologia pietistica“.

augias gesùCi mostra il grande Tempio di Salomone, spiegando che i “mercanti” erano nell’immenso cortile, nella funzione di cambiavalute e di venditori di animali per i sacrifici prescritti dalle Scritture. L’episodio dell’ira di Gesù contro i mercanti allude, secondo Augias, forse a un tentativo di rivolta contro i sacerdoti. Ma ecco che siamo ormai alla vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica. Come succede oggi durante i grandi assembramenti di folla, anche nella brulicante Gerusalemme di allora le forze dell’ordine sono in allarme e quel profeta folle e trascinatore aveva già attirato l’attenzione delle autorità. Giuda si accorda con i sacerdoti e Gesù viene arrestato, mentre gli altri discepoli fuggono a gambe levate, impauriti. I Vangeli hanno “ricamato” alcuni dettagli, come il famoso “bacio” del traditore o la scena di Pilato che chiede alla folla dei giudei un parere sul da farsi (lui, il rappresentante dell’imperatore di Roma!). Ed è un’invenzione di Matteo la risposta del popolo “che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”: eppure proprio da qui è scaturita una scia di antisemitismo lunga venti secoli, cioè il “mito” dell’ebreo deicida.

Infine, la pena della croce. Augias sferra un’altra stoccata alla società contemporanea, che spesso si adorna di “crocifissi in ghisa, con appeso un cadaverino composto: è un insulto alle sofferenze reali del Crocifisso, una banalizzazione storica, e anche un’assuefazione alla morte indifferente“. Infatti il supplizio della croce, largamente praticato nell’antichità, è uno dei più atroci: dopo le frustate, con staffili terminanti a uncino o palla di piombo, che a ogni colpo strappavano lembi di carne, i chiodi nelle mani e nei piedi, e infine la lunga agonia fino alla morte per soffocamento, spesso anticipata dalla frattura dei femori o, nel caso di Gesù, “perfezionata” dal colpo di lancia. Per illustrare il dolore della Madre, Augias sceglie di mostrare la scena del film di Pasolini, in cui Maria è impersonata dalla madre del regista e poeta, quasi una prefigurazione di quando, nel 1975, piangerà sul corpo straziato del figlio ucciso.

Infine, il mistero delle ultime parole di Gesù: il Vangelo più antico, quello di Marco, è l’unico a registrare la disperazione umana e la grandiosità tragica del grido: “Dio, Dio, perché mi hai abbandonato?“. Augias conclude sul terreno scivoloso della resurrezione e anche in questo caso, con il suo solito garbo teso a stimolare la riflessione, ci invita a diffidare delle visioni troppo edulcorate, alla ricerca dell’happy end: un Gesù risorto in un corpo risanato, piaghe e ferite richiuse o restate aperte soltanto come prova per l’incredulo Tommaso. Ecco la sua interpretazione di non-credente: “resurrezione” significa “esserci”, qui e ora, accanto a noi, “senza parole pompose, nel silenzio della propria coscienza“. Una visione lucida, attenta alle vibrazioni di umanità di una figura straordinaria.

Gilda Tentorio