OGGIONO – La ripresa degli eventi culturali a Oggiono è entrata nel vivo domenica 5 luglio con il primo appuntamento della Piccola Rassegna di Teatro che terrà compagnia agli oggionesi fino all’inizio di agosto nella suggestiva cornice dell’arena all’aperto allestita a Villa Sironi. L’iniziativa è organizzata dall’amministrazione comunale di Oggiono con la direzione artistica della compagnia Stendhart. Il pubblico ha subito risposto con entusiasmo facendo registrare un centinaio di prenotazioni, rese necessarie dalle norme sul distanziamento sociale, e dimostrando la voglia di vivere “un’estate di cultura in sicurezza, divertendosi e rispettando le regole” come dichiarato in apertura di serata dall’assessore alla Cultura Giovanni Corti.
Dopo un piccolo prologo che ha visto l’esibizione di alcune allieve dei corsi di danza e teatro di Stendhart, protagonista della serata è stata la compagnia di sperimentazione teatrale Altre Tracce che ha portato in scena “Parole, parole, parole”, uno spettacolo per bambini e adulti a partire dagli otto anni poetico ed emozionante sull’importanza e la difficoltà di esprimersi e comunicare con gli altri. La storia è quella di una coppia di amici che si sono allontanati a causa di un amore conteso e che cercano disperatamente di esprimere i sentimenti che provano realmente l’uno per l’altro in un mondo in cui le parole non sono gratis e si possono utilizzare solo comprandole nella bottega di un misterioso venditore di parole.
Abbiamo incontrato i tre componenti della compagnia Valentina Maselli, qui in veste di regista, e i due attori/mattatori in scena Massimo Zatta e Antonio Brugnano che ci hanno raccontato con grande disponibilità i retroscena del loro spettacolo e come hanno affrontato gli ultimi mesi in qualità di professionisti del mondo teatrale duramente colpito dalle restrizioni dovute al lockdown.
Benvenuti, per prima cosa vi chiedo di presentarvi e raccontarci come nasce l’esperienza di Altre Tracce…
Massimo Zatta – Io faccio il mestiere dell’attore da vent’anni e collaboro con questi due attori/registi. Con loro ci siamo conosciuti tanti anni fa nella scuola di teatro milanese Quelli di Grock, ci siamo rincontrati dopo qualche anno con Valentina e da lì è nata Altre Tracce.
Antonio Brugnano – Anch’io lavoro come attore ma anche come mimo e clown e molto spesso non uso la parola sul palco, questo aspetto è molto interessante dato che questo spettacolo si intitola Parole, parole, parole e parla proprio della difficoltà di comunicare o di trovare un punto di incontro. L’idea è partita da Valentina che ha letto il libro La grande fabbrica delle parole ma è stato proprio Max che mi ha proposto di lavorare allo spettacolo insieme. Al momento sono circa quattro anni che portiamo in giro questo spettacolo, abbiamo partecipato al festival nazionale In Box Verde nel 2018 dove siamo stati orgogliosi di essere selezionati tra i cinque finalisti.
Valentina Maselli – Dopo l’esperienza comune di Quelli di Grock e dopo una decina d’anni di lavoro altrove ho rincontrato Massimo e Antonio e abbiamo cominciato a lavorare a questo spettacolo. Altre Tracce nasce nel 2011 dalla volontà di realizzare il nostro teatro, di usare i linguaggi che ci sono congeniali per portare avanti un lavoro di ricerca e creazione più personale.
Come è nata l’idea alla base di “Parole, parole, parole” e come l’avete sviluppata?
V.M. – Nasce dalla storia che ci ha interessato da subito. Il libro di partenza di Agnès de Lestrade è un albo illustrato che racconta la storia di un paese dove le parole si devono comprare per poter parlare. Da lì abbiamo sviluppato lo spettacolo che ha preso una strada tutta sua. Ci è piaciuta l’idea che si prestasse a essere uno spettacolo trasversale che potesse parlare a tutti i tipi di pubblico. Ha un linguaggio stratificato, in grado di coinvolgere i bambini e gli adulti a diversi livelli di profondità. Il tema mette in gioco tante idee, in primo luogo che le parole sono importanti e hanno un valore, in questo caso proprio un valore economico, per cui una persona pondera per bene prima di comprare, poi c’è il tema delle differenze sociali e di classe per cui chi non ha soldi non può esprimersi, mentre chi è ricco può permettersi di “straparlare”. Partendo da questo input il grande tema dello spettacolo è poi quello dell’amicizia e del perdono.
M.Z. – Un altro tema di fondo è la difficoltà di comunicare e di capirsi. A volte le parole non bastano. Mentre all’inizio le persone non possono esprimersi se non comprano le parole, a poco a poco incominceranno a capire che non è sempre così, ma che è possibile esprimersi e comunicare anche in un altro modo.
A.B. – Il messaggio finale è che spesso quello che conta non è quali parole usiamo ma come le usiamo, è come uno le esprime, come le vive, le emozioni che ci mette che permettono di comunicare e rendere espressivo un discorso.
V.M. – In questo senso siamo rimasti fedeli al libro… senza fare spoiler, nel libro ci sono due bambini innamorati della stessa bambina, uno è ricco e può usare tutte le parole che vuole per esprimere il suo amore, l’altro ha solo tre parole da usare e se le gioca al meglio. È come le dice che conquista il cuore della bambina, usando il trasporto, l’emozione e la tenerezza.
Voi avete una grande esperienza come educatori e nell’organizzazione di laboratori e progetti teatrali per allievi di tutte le età. Quali sono secondo voi gli elementi di questo spettacolo che lo rendono fruibile dai bambini e dai ragazzi e quali invece quelli che riescono a toccare delle corde più profonde e a parlare anche agli adulti?
V.M. – Sì, decisamente l’insegnamento è un punto importante del nostro mestiere… Di base sono convinta che a teatro tutti i tipi di spettacolo si rivolgano sempre un po’ a tutti, e credo che spesso il “teatro per ragazzi” abbia dei linguaggi più interessanti perché ci si permette di usare l’immaginifico, l’evocazione, di giocare e sperimentare con più libertà e questo i bambini lo avvertono e lo raccolgono subito positivamente. In realtà poi questo tipo di linguaggio parla anche agli adulti.
M.Z. – Il teatro è fatto per parlare agli esseri umani, non ai bambini o ai più grandi. Puoi tarare diversi livelli di linguaggi, ma se uno spettacolo non è in grado di parlare e toccare un adulto secondo me non è valido nemmeno per i bambini. Allo stesso modo un linguaggio che riesce a catturare un bambino non può non arrivare anche a un adulto, o perlomeno l’obiettivo dovrebbe essere quello di lavorare per gli esseri umani e quindi riuscire a toccarli nel profondo a prescindere dall’età. Ad esempio il tema del comprendersi, il problema di capirsi lo avverti a 8 anni come a 80, quindi ci riguarda tutti sempre.
A.B. – La nostra volontà di arrivare a tutti si riflette anche nella scelta di linguaggi differenti, giochiamo molto sul non verbale, il mimo, la clownerie ma anche sull’utilizzo di immagini, i personaggi all’inizio raccontano i loro rapporti e i loro conflitti senza le parole, ispirando simpatia e facendosi capire dai più piccoli. Successivamente ci sarà un evolversi del testo e delle emozioni raccontate che arriverà anche ai più grandi. O almeno questo è il rimando che ci è arrivato spesso anche dal pubblico.
Come avete conosciuto Stendhart e come siete arrivati a organizzare questo spettacolo a Oggiono in questo momento così particolare… E come avete vissuto questi ultimi mesi da professionisti dello spettacolo abituati al contatto con il pubblico e con i vostri allievi?
A.B. – Stendhart ha pubblicato un bando di concorso che è circolato in rete tramite amici e conoscenze. Abbiamo deciso di partecipare perché ci è piaciuto molto il fatto che non ci fossero limiti relativi ai linguaggi da utilizzare e al tipo di pubblico. Incredibilmente un mese fa ci hanno comunicato che la nostra proposta era stata scelta tra quelle di un centinaio di compagnie professionistiche che hanno partecipato da tutto il Nord Italia. Questa iniziativa a Oggiono ci ha spiazzato perché sembrava che nessuno dopo l’ultimo periodo volesse rischiare puntando su una rassegna teatrale.
M.Z. – All’inizio abbiamo vissuto questa situazione di emergenza con un po’ di sbandamento perché sei abituato nel nostro lavoro a vivere molto intensamente i rapporti umani, per cui di punto in bianco ci è stata tolta la materia prima di lavoro. Dopo però c’è stato anche un momento di piacere, anche se sembra brutto da dire, una condizione di sospensione e di attesa che ci ha accomunato tutti. Io mi sono messo a lavorare molto su di me come attore.
V.M. – Lo sbandamento è stato grande, a me spiaceva lasciare le cose in sospeso quindi ho continuato a fare lezione con i miei allievi usando internet e i canali che avevamo a disposizione, provando all’inizio tanta frustrazione perché ovviamente il video è quanto di più lontano ci può essere dall’esperienza teatrale. Poi ci siamo detti che era un’opportunità per sperimentare e metterci in gioco e abbiamo provato a produrre un saggio traducendo il linguaggio teatrale in linguaggio video. Alla fine ci siamo divertiti tantissimo e abbiamo scoperto delle nuove possibilità, delle nuove strade. A breve organizzeremo un piccolo cinema all’aperto dove proietteremo il nostro saggio. Abbiamo cercato di cogliere l’opportunità nascosta nelle restrizioni che abbiamo vissuto. Come attrice invece credo di stare vivendo ancora un periodo di silenzio, in cui devo metabolizzare e capire.
Abbiamo potuto sperimentare e creare senza per forza dover fare, provare, portare in scena. Questo ci ha aiutati a non attaccarci al vecchio, abbiamo capito che c’è un’opportunità in tutto questo anche se poi c’è da capire quale esattamente e coglierla.
M.Z – È emerso un senso di responsabilità molto forte, d’altronde chi fa teatro non si limita a interpretare una parte ma deve osservare quello che avviene intorno a noi e tradurlo sul palcoscenico, noi amiamo creare qualcosa di nuovo. In questa situazione di emergenza siamo arrivati a un punto in cui non potevamo fare altro che il nostro lavoro, cioè osservare quello che succedeva e aspettare, capire, accettare che era necessario del tempo per fare chiarezza in una situazione molto confusa e attendere il momento giusto per tradurre, quando l’ispirazione verrà.
La Piccola Rassegna di Teatro tornerà sabato 18 luglio alle 20.30 e questa volta Stendhart giocherà in casa portando in scena lo spettacolo Superhero – avventure da orfano scritto, diretto e interpretato da Nicola Bizzarri con la presenza sul palco delle ballerine Marta Milesi e Loredana Mazzoleni.
La prenotazione via mail a lapiccolarassegna@gmail.com o per telefono al numero 339 5710559 è consigliata per via dei posti limitati. Le rappresentazioni rispetteranno tutte le disposizioni in materia di sicurezza e distanziamento sociale.
Fabio Ripamonti