Il momento narrativo è drammatico, infatti fa seguito alla tensione tra i Giudei – i maggiorenti ebraici – e il Signore Gesù, generata dalla guarigione, in giorno di sabato, del paralitico e dal fatto che Gesù chiami Dio, suo Padre. I suoi avversari esprimono un livore che l’avrebbe voluto annientare: volevano ucciderlo. Gesù (in un parlare che Giovanni, nel suo stile lento, un poco pesante, non ci rende in modo immediatamente agevole) comunica la sua profonda unione con il Padre, dice di non poter far nulla senza di lui, ma di essere nel suo amore e in assoluta sintonia d’azione che si esprime nella grande forza, nel grande dono, della vita propria del Padre, ma a lui pure, Figlio, donata. Così dice il Signore: “In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”. L’insistenza di Gesù è sulla vita, che evidentemente non possiamo leggere in un puro senso fisico, biologico, ma nella profondità del dono di Dio ben oltre il materiale, a conseguirne pienezza nello spirito. È proprio l’azione del Signore Gesù (le opere che sono del Padre e nell’agire del Figlio) e la sua parola che ne realizza il dono: suscita la vita fino a richiamarla risorta.
Il ricco tema centrale è l’unione profonda, la sintonia piena con il Padre innanzitutto – come abbiamo insistito – nella pienezza di vita posseduta e comunicata (la vita, potremmo dire, è realtà prima, in Dio) e subito nelle opere che Gesù compie, in comunione profonda col Padre; inoltre Gesù afferma siano le stesse opere del Padre che gli danno testimonianza. Qui il tono si fa di sapore più polemico, volto alla tensione cui accennavamo, data dalla sua confidenza col Padre e dall’opera di vita compiuta sul paralitico di Betzata. È appunto questo agire che parla, che testimonia per Gesù, sono le opere che compie: le opere di vita che il Padre gli ha ordinato e formano vera testimonianza per lui, ancor più alta di quella di Giovanni, pure e certamente testimone eletto e singolare, ma uomo.
Gesù contro il livore di questi che si pretendono religiosi perché adempiono gesti di culto – ma vuoti di personale conversione e coinvolgimento – afferma persino di non voler ricevere (non aver necessità) di testimonianza umana, nemmeno quella pur grande del Battista, come s’è detto, proprio per le opere compiute e non riconosciute dagli avversari che sono opera divina, in ottemperanza a comando e dono del Padre. Il nostro passo – come si vede – porta specchio ampio di riflessione: dai rapporti tra il Figlio e il Padre al valore di testimonianza delle opere del Signore Gesù; ci coinvolge in più modi e innanzitutto – a me pare – sul nostro aderire intimo e di fede al Signore, ma poi anche nelle nostre opere che ne diano testimonianza.
Don Giovanni Milani