RELIGIONI: LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI
NELLA 3ª DOMENICA DI PASQUA

“Nella gioia esuberante della presenza del Cristo risorto” di questo periodo pasquale, mi piace interpretare la lettura degli Atti, non solo nel dettato d’ogni brano, anche vederci il procedere della Chiesa nell’evangelizzazione secondo il grande schema di Luca: nel primo libro, il vangelo, si narra il cammino del Signore Gesù verso Gerusalemme per la nostra salvezza; nel secondo, gli Atti, l’ideale irradiazione dei discepoli dal luogo della croce e della resurrezione,

Gerusalemme, per l’espansione dell’annuncio di salvezza al mondo. Così anche le sofferenze dell’evangelizzatore Paolo – seconda lettura – prendono il significato nuovo dell’essere nel Signore.

L’AT aborriva il dolore come condanna, punizione e maledizione, nel nuovo invece è partecipazione al mistero di Cristo. Ma veniamo al vangelo che, come si vede, è tratto dalla narrazione dell’ultima cena. Gesù ha già posto il gesto magisteriale del lavare i piedi ai discepoli ed ora inizia i delicati discorsi del distacco umano e del conforto.

Qui si fa parola sulla casa del Padre. A me pare da intendere bene: la casa non è più il tempio, forse meglio dire che non è più neppure luogo (Gesù risorto non è luogo fisico) ma relazione. La “casa” è piuttosto, mi verrebbe da dire, la famiglia di Dio. Preparare un posto è nel cuore del Padre, nel senso che noi siamo figli nel Figlio. Tutto il brano ne è esplicitazione.

La concretezza, distratta rispetto la lunga esperienza di Tommaso col Signore, fa precisare d’esser lui, Gesù, la via. Anzi: via, verità e vita. Cammino verso la famigliarità col Padre che non è procedere, ma lasciarsi coinvolgere dall’amore dello stesso Gesù. Verità, non nel senso filosofico greco: è l’evidenza, la consistenza quasi tangibile dell’amore del Signore; allora capiamo che Gesù è la vita (primo dono di Dio) non solo la vita creata, ma addirittura quella risorta, ritornata nello Spirito che ha salvato dalla morte vera.

Filippo, cerca di capire, di andare alla radice, ma anche per lui rimane l’incomprensione dello stare con Gesù: la visibilità del Padre è proprio il Signore Gesù col quale i discepoli hanno avuto lunga familiarità senza penetrarne a fondo il senso.

Il tutto non si ferma certo alla cronaca, è per noi: la visibilità e la famigliarità con Dio ci è donata in Gesù. Anzi lui ci ha insegnato un modo nuovo, rispetto al passato di rivolgerci al Signore Dio: non è più il venerato nel “timore”, in antico si diceva: “il timore del Signore è l’inizio della sapienza”; adesso Gesù ha indicato la confidenza affidata sin in un nome di familiarità infantile: Abbà, papà.

Gesù è nel Padre e il Padre in lui, questa intimità, questa conoscenza (con la forza espressiva della parola nella Scrittura) non è qualcosa che si raggiunge e qui dimora immobile: la profondità di questa relazione (vita, vita piena, vita risorta: ricordiamolo) non è acquisizione che non conosce approfondimenti (o ahimè regressi) è proprio da coltivare per un acuirsi sempre migliore, per un’intimità sempre meglio appagante.


Don Giovanni Milani