La pagina profetica di Isaia ci aiuta a leggere la nostra del vangelo – simbolica della missione di Gesù e del suo esito – ce ne mostra la vibrazione profetica in questo primo dei sette segni (narrati in questo “libro dei segni”) anticipando messaggio del momento culminante nel “libro della gloria”, appunto: “manifestò la sua gloria”, con l’emissione, il “consegnare lo spirito” che permette fluiscano dal costato sangue ed acqua (Spirito, acqua e sangue, i tre testimoni di 1 Gv, 5).
Benché sia escluso dal ritaglio liturgico, il brano è collocato in tempo più simbolico che storico: in un sesto giorno allusivo a quel sesto della creazione dell’uomo che ci fa rimbalzare (in questo stesso IV vangelo) all’altro sesto giorno: la parasceve pasquale di crocefissione.
Quasi ogni elemento, ogni particolare, ha rilievo allusivo e simbolico: fin la Madre, innominata (evidente il richiamo a sommesse presenze di 6,42, ancor più alla croce: 19, 25-27) si farebbe segno dell’attesa di vita, di creazione nuova dall’AT al maestro (ha appresso i discepoli) che è il vero sposo (pur qui quanto allusivo). Dello sposo storico è detta solamente la supposta imprevidenza. A noi tuttavia, piace soffermarci sulla persona vera di Maria e alla sua dolcezza, davvero guida sicura ad indicare ai servitori e oltre (significativamente τοῖς διακόνοις, la diaconia, il servizio nella chiesa) “qualsiasi cosa vi dica, fatela”. L’espressione, pare distacco, rivolta a Maria, sottolinea il rinvio simbolico all’ora – continuo a dirlo – è quella della gloria, dell’amore palese sulla croce.
Il vino era elemento centrale alle nozze (ne è dono offerto e ricevuto) è quello del cantico: il vino-amore, che avrà espressione piena proprio in quell’altro momento, sesto giorno supremo di testimonianza di spirito, acqua e sangue.
L’imperfetto numero – sei – delle “anfore di pietra” è rinvio al testamento antico che solo con il nuovo sposo possono traboccare dell’amore del Signore, è lui che invita al banchetto escatologico con il simbolico dono nuziale e regale del vino (un invito a pranzo sontuoso, regale, sempre era accompagnato da doni).
I sacerdoti del tempio, del tempo di Gesù, sono dietro a “colui che dirige il banchetto” che non si capacita di dove giunga il dono, che pur riconosce più alto; lo sanno gli umili, coloro che prestano servizio. Non è quella saggezza umana, che pure compone culto meticoloso di riti, né basta astratta scienza di Scritture a poter camminare nella fede, è necessario guardare con occhi nuovi e limpidi quel che davvero è nuovo, lasciarsi sollecitare da quell’incredibile dovizia di vino. L’amore di Dio, già adesso è esuberante, ma in quelle anfore vuote, di pietra fredda, come ormai erano diventate anche le tavole mosaiche, l’acqua cambiata in vino eccellente è testimone non tanto di miracolosa potenza, ma segno e appello d’amore. “Questo a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Sì, dobbiamo farci discepoli. Anche i segni si banalizzano in gesti materiali se non c’è un affidamento di limpida umanità che ci permetta credere e goderne davvero, ora come promessa in un’attesa che si realizzerà solo nel desiderato incontro.
Is 25,6-10a Il Signore preparerà per tutti i popoli un banchetto di vini eccellenti. Col 2,1-10 In Cristo abita la pienezza della divinità. Gv 4,1-11 il Segno alle nozze di Cana.
Don Giovanni Milani
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