RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI:
SETTIMA DOMENICA DI PASQUA

Gesù, abbiamo già avuto modo di annotarlo, in questi discorsi dell’ultima cena, parla già oltre la storia, nell’eone definitivo, già da risorto. Ecco allora l’affermazione di non essere più nel mondo, mentre i suoi, ancora lo abitano:
per questo li raccomanda al Padre affinché li “custodisca nel suo nome”. Qui Gesù tiene a precisare (per ben due volte) che quel “nome” è quello che lui ha ricevuto dal Padre.

Noi dobbiamo richiamare che il “nome” è ben lontano da essere la semplice designazione di Dio, è la profondità divina, catechisticamente dovremmo probabilmente parlare della vita divina, cioè della grazia che il Signore Gesù condivide col Padre e comunica ai “figli di Dio” suoi discepoli: a noi.

Mi par bene sottolineare che in quel “nome”, in quella vivacità divina, chiede di “custodirli” (il termine sarà ripetuto, a proposito dell’azione passata dello stesso Gesù e poi ancora in protezione dal maligno). Parola assai evocativa questa del custodire, usata nell’intensità del contesto di comunione e trasmissione del divino che origina dal Padre, è donato al Figlio e, appunto, conserva i suoi: il fine di questo “custodire” è l’unità tra i discepoli com’è quella che
stringe il Signore Gesù col Padre.

Prosegue Gesù ritornando nella storia: “dico questo mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia”; la pienezza di vita, dunque di gioia, caratterizza la condizione divina che il Signore vuole sia anche dei discepoli. La gioia è qui collocata come dono mentre Gesù è prossimo al sacrificio, e pare sia legata al dono della parola del Padre che Gesù ha dato loro provocando l’odio del mondo.

Mistero la gioia, la pienezza della gioia del Signore, che è consegnata ai discepoli, mentre sono nel mondo, a similitudine di quella stessa del Signore Gesù che sta per salire al Padre; non sembra semplicemente una gioia sensibile e mondana, è certo da legare alla parola loro donata e forse più alla “custodia (ancor qui) dal maligno” e al “consacrarli nella verità” in quella pienezza più volte evocata.

La verità non è speculativa, ma nella comunicazione, nel rapporto, nella parola, di Dio, quella offerta ai discepoli dalla presenza nel tempo del Signore Gesù.

La custodia dal maligno è nella consacrazione, nel render fermi nella verità-parola coloro  che rimangono nel mondo mentre il loro maestro e signore non è più nel mondo.

L’espressione “consacrali nella verità” (ἁγίασον αὐτοὺς ἐν τῇ ⸀ἀληθείᾳ) vale piuttosto: rendili santi nella verità, che significa propriamente, separali, ancor qui custodiscili, proprio come dirà subito poi Gesù di sé, della propria cura esclusiva per il loro rimanere separati dal male nella verità, nella realtà divina.

L’ultima affermazione del brano di oggi, è riservata all’invio dei discepoli nel mondo, pure qui a similitudine del mandato nel mondo che lui ha ricevuto dal Padre. La cura di Gesù nell’uscire dal mondo è ricondurre tutto all’unità tra i discepoli e la realtà stessa del Padre: la realtà divina.


Don Giovanni Milani