La narrazione evangelica è caratterizzata dal cammino verso Gerusalemme ecco il linguaggio, la domanda: “Se qualcuno vuol venire dietro a me”. Ha appena dato sulla voce a Pietro: “dietro a me Satana! Perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini”. Non è un gesto di stizza (la forza della parola è piuttosto lo stile semitico che drammatizza), Pietro non è riprovato, è invitato a riflettere secondo lo stile, l’insegnamento di Gesù; ed ecco la stessa domanda, la stessa offerta a tutta la folla d’andar dietro a lui con scelta libera, ma dietro a lui, sul suo esempio.
Andargli appresso è fare come lui, pur secondo la misura di ciascuno: la croce non è quella greve di Gesù, ma è quella per la spalla d’ognuno. Tutti cercano la tutela della vita (qui è espressa nel suo senso più profondo, – τὴν ⸂ψυχὴν – non semplicemente descrittivo), Gesù allude ad una salvezza istintiva, d’egoismo che è solo pretesa di salvezza ed è un perderla. Andare dietro lui, con quella paziente fatica di camminare con quel peso che sembra il contrario della tutela e della salvezza, eppure lo è davvero, proprio perché è dietro lui, è nel suo modo.
La vita di Gesù non è rivolta a se stesso, bensì tutta per gli altri: quella del discepolo non può che essere uguale. L’istinto che ciascuno si trova dentro è all’accumulo, “guadagnare il mondo intero”, ma a che pro se non è nel senso proprio dell’umanità, se è per l’orgoglio; che spessore può avere, se sta solo attorno a te stesso, quale consistenza porta?
Perdere la vita per la causa del Signore Gesù e del vangelo, beninteso, perderla nel modo, nel senso mondano, dove valore sono le cose, non l’uomo, è l’accumulo materiale non l’anima (in questa pagina di vangelo, com’è nel profondo, i due termini d’anima e di vita coincidono).
C’è sempre di mezzo la felicità, se vogliamo, e qui, nella sequela di Gesù, ci è data nel senso e nel dinamismo del cammino: è andare dietro Gesù; lui tende ad una meta: è perseguire una meta (con quella guida poi!).
La vita, il suo senso, la felicità è camminare, camminare che ha significato nello star dietro. La felicità sta in una reciprocità d’affetto, d’amore, e Gesù invita (quale ne può essere il senso se non questo dell’amore?) te, me ad andargli dietro liberamente, ma trovando – ce n’avverte – solo lì senso alla vita, alla felicità.
C’è un prezzo (materiale) per la vita, per darle spessore vero? Chiaro che no, allora affannarsi, magari trovando lì soddisfazione è lucidamente contro la vita, è illusione materiale, destinata, come ogni materialità, a corrompersi e venir meno.
A noi la scelta, per il Signore in quel cammino faticoso d’imitazione, ma solido e felice; oppure lontano da lui, riprovandolo per mondani pudori, per attingere poi – nel sempre – la riprovazione del suo tragico vergognarsi di noi.
Don Giovanni Milani