RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI
NELLA 10ª DOMENICA
DOPO PENTECOSTE

Il brano che ci è proposto in questa liturgia è tradizionalmente noto come la purificazione del tempio; si può intendere in più modi questo gesto, evidentemente simbolico, del Signore Gesù.

Meraviglia la forza del suo agire, nel vangelo la violenza di Gesù ci è narrata solamente qui e verso il fico senza frutti, va da sé il gesto debba essere letto con attenzione particolare, specie dopo la riaffermata mitezza di giungere in quel luogo sull’asinello chiaro simbolo di mitezza regale.

Questa purificazione, così forte (sale subito alla mente l’Angelo del patto di Malachia col fuoco dei fonditori e la lisciva dei lavandai) è dunque innanzitutto segno profetico. Segno profetico, non nel semplice significato (fin troppo spesso malinteso) di previsione, qui della distruzione dello tempio stesso; piuttosto ci dice la restaurazione
del culto vero e antico, non spazio di compravendita, di mercato, ma luogo di preghiera: è il senso immediato della severa citazione, sulla bocca di Gesù, che congiunge Isaia e Geremia.

Con profondità ancor maggiore ci annuncia un tempio nuovo e diverso lontano dal potere teocratico dei capi e degli scribi che vi si son annidati a gravare del loro giogo di tradizioni il popolo. Sono certamente tutte interpretazioni fondate, ma credo sia ancor meglio, con pienezza più definita, pensare a quel nuovo tempio edificato in soli tre giorni che sarà il Signore Gesù stesso ad edificare come vero luogo di culto – non più di sacrificio di cose ed animali – luogo di devozione vera a Dio in Spirito e verità. Questo nuovo, definitivo tempio sarà il motivo della condanna e morte del Signore.

Il gesto di Gesù è davvero forte e significativo di realtà nuova, sono i “piccoli” che l’intendono, infatti son loro a seguirlo nel tempio; i ciechi e gli storpi osano entrare nel tempio loro interdetto dalle (vere o pretese) purità legali dei maggiorenti, “Gesù li guarì” perché è più loro quel luogo, sono i veri adoratori quanto i fanciulli, pure loro non ammessi dalla tradizione, le loro voci inneggiano ed invocano: “osanna al figlio di Davide”, non in coro di tenere evocazioni, ma intuizione profetica di salvezza nel Signore Gesù.

I capi dei sacerdoti e gli scribi – detentori del potere e sostenitori con l’intellettualità dell’interpretazione – si sdegnano: “vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio”, “si sdegnarono” pretendendo li facesse tacere, ma Gesù mostra come sono proprio loro, i semplici, ad intendere: acclamano
l’osanna, invocano salvezza: Gesù allude col salmo 8 al senso vero e profetico di quella contrapposizione dell’acclamare, dei fanciulli e ci evoca per noi il ricco richiamo alla grandezza generosa di bellezza e dignità che il Signore ci dona.

 

Don Giovanni Milani