Questo parlare di Gesù nel sesto capitolo di Giovanni, è sempre letto come uno dei testi principali dell’insegnamento sull’eucaristia; è vero, ma c’è anche di più e prima. Dopo lo sfamare, fisico e simbolico, dei cinquemila e aver tacitato le acque del mare di Galilea salendo in barca con i discepoli; Gesù, il giorno appresso, è raggiunto sull’altra riva a Cafarnao e parla con ampio discorso contrapponendo sé stesso, come pane vero dal cielo, all’antica manna caduta dal cielo: quella non ha impedito ai padri di morire, lui è pane che non solo dà la vita, ma è vivente. Già domenica passata si è visto che la vita è del Padre e del Figlio ed è Gesù che la dona: qui mi pare ancor con più forza. Il Signore, sul principio del nostro brano afferma esser lui il pane disceso dal cielo e chi ne mangi avrà vita eterna, ma ancora che quel pane è la propria carne per la vita del mondo.
Al mormorare dei Giudei precisa: “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”. Ascoltiamo attenti: il pane è la carne, è cioè l’umanità del Signore che ci è data, nel segno di quel pane vero che è comunicare alla sua umanità. Alla durezza degli oppositori aggiunge il sangue che, in quella cultura, e non solo, scandalizza quando sia inteso materialmente; ma visto come richiamo all’effusione nel sacrificio (già sull’altare in quello di Abramo, ma qui soprattutto inteso per quello della croce) il bere, parla del dono dello Spirito. Siamo certo e ovviamente sempre all’incontro pieno col signore Gesù nell’eucaristia, ma a leggere bene e più sottilmente il discorso è ancor prima quello della fede che dà la vita in Cristo, da cui l’incredulo si esclude. Allora troviamo nuova insistenza sul tema della vita, ben oltre quella materiale, che è propria del Padre ed è manifestata e donata, nelle opere – comuni al Padre – espresse dal Figlio Gesù. Se domenica scorsa si insisteva su questa comunione di vita tra Gesù e il Padre, qui il discorso, la riflessione va approfondita, perché, ancor prima di intendere l’eucaristia Gesù parla del rapporto vitale tra sé e il discepolo credente.
È nella fede che riceviamo la vita e il sacramento dell’eucaristia che la Chiesa celebra e di cui il fedele si ciba è proprio nella fede che ci unisce al Signore Gesù. Colui che “mangia” del Signore, non lo fa certo con i sensi, ma proprio solo perché l’ha già fatto nella fede che l’unisce a Cristo, riceve il sacramento: è l’unione con Gesù nella vita che lo permette, anzi lo fa vivere “di me” come s’esprime Gesù. Dice Gesù: “la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”. È da leggere: “la mia umanità è veramente cibo”, poi c’è un’espressione tipica della lingua del vangelo: καὶ τὸ αἷμά, meglio coglierne la forza piena, non solo d’elenco: “anche il mio sangue: proprio il mio sangue vera bevanda”. La sottolineatura è dunque da intendere prima nella fede, poi – certo – nell’eucaristia.
Don Giovanni Milani