DON G. MILANI, LA MEDITAZIONE
NELLA SECONDA DOMENICA
DAL MARTIRIO DI S. GIOVANNI

Il 5° capitolo di Giovanni si apre con il terzo dei 7 segni: la guarigione del paralitico di Betzatà che rinfocola l’odio dei Giudei (i capi del popolo che “cercavano ancor più di ucciderlo” 5,18) nei confronti di Gesù, perché quel giorno era sabato; il Signore invece la rivendica come opera del Padre, di Dio. Si innesca così una tensione, una diatriba che si svolge secondo la consuetudine dei tempi e del luogo, cioè secondo la tradizione, la legge della Torà, per cui c’è da recar testimoni a sostegno delle proprie ragioni.

Secondo la legge era considerata valida una testimonianza suffragata da due testimoni (ricordiamo i due falsi per la casta Susanna), qui il Signore Gesù ne sta recando addirittura tre: le opere che compie, il Padre e le Scritture. Nel brano che ci è proposto Gesù richiama la testimonianza innanzitutto del Padre e afferma polemicamente che i suoi avversari, non credendo “a colui che egli ha mandato” rivelano di non “avere mai ascoltato la sua voce, né avere mai visto il suo volto e la sua parola non rimane” in loro. È solo Gesù che ha esperienza del Padre (a poterla comunicare).

Un’accusa nei confronti degli avversari che Gesù, paradossalmente, porta a testimonianza, è che scrutino le Scritture “pensando di avere in esse la vita eterna”, ma non cogliendo, non volendo intendere “che sono proprio esse che danno testimonianza” a lui. Loro non “hanno l’amore di Dio” perché non cercano “la gloria che viene dall’unico Dio”, ma contrariamente al Signore “che non riceve la gloria degli uomini”, la ricevono “gli uni dagli altri”. È addirittura Mosè, autore della Legge “nel quale ripongono la loro speranza” che li accusa davanti al Padre.

Nel brano che ci è proposto la parola, il concetto continuamente ricorrente è quello della testimonianza, mette conto rifletterci. Anche da un punto di vista tutto umano la testimonianza è di grande anzi, ancor più, di alta importanza, certo nella verità; un po’ tutto in noi è legato e dipende dalla parola, dalla trasmissione testimoniale di conoscenze, verità umane e più alte. Possiamo dire che non poco, sulla qualità della testimonianza, si animano i nostri valori, la nostra esistenza addirittura.

Qui però, in questo richiamo del Vangelo, è ancora più intenso, importante quel senso, perché l’oggetto di quella testimonianza, di opere, del Padre e dello Scritto sacro, è il rivelare il Figlio, il Signore Gesù. Siamo adesso noi a dover accogliere quelle testimonianze: leggere, dai vangeli, le sue opere, ascoltare la voce del Padre, trovare parola nelle Scritture per andare a lui nella fede e “avere la vita”.

 

Don Giovanni Milani