DON G. MILANI, MEDITAZIONE
DELLA SECONDA DOMENICA
DOPO LA DEDICAZIONE

Il primo versetto del brano evangelico proposto in questa seconda domenica dopo la Dedicazione fa la composizione di luogo: il chiuso sicuro della casa d’un fariseo. È di sabato e si è porto invito a Gesù perché prenda il pasto, mentre – come sempre, ce lo ricorda ripetutamente Luca – sale verso Gerusalemme, in cammino verso la sua meta. La pagina già ci ha riportato insegnamenti polemici di Gesù rispetto alla sicurezza farisaica della salvezza attraverso l’adempimento della Legge, soprattutto quella del sabato: già ha parlato di urgenze maggiori dell’adempimento formale dell’astenersi dall’operare di sabato come si fa per soccorrere un animale (il codice P45 parla di “figlio”) caduto nel pozzo e pure della smania di primi posti (che se qui sono al banchetto) alludono alla pretesa farisaica d’esser primi nel Regno.

Ecco allora l’esclamazione – che è evidente domanda – circa la beatitudine del “prendere cibo (φάγεται ἄρτον mangiar pane) nel regno di Dio”. Gesù risponde con la parabola che ci è proposta. V’è una sicurezza dei pretesi giusti in quella casa, in quel banchetto, c’è la sicurezza di chi osserva il sabato, sta al sicuro nella casa (di Dio?) e pregusta la beatitudine, Gesù invece è in viaggio verso quella meta dove si consuma il suo sacrificio, che è proprio per tutti, proprio per quelli che la tradizione di purità vorrebbe escludere. Il senso della parabola è essenzialmente un monito, per i presenti, ma ben oltre per noi, a non rimanere fermi, attaccati a sicurezze (simbolicamente dentro le mura sicure della casa) di tradizione ed adempimento senza riflettere sull’invito vero che deve aprire a Dio, non solo rassicurare della legalità formale del proprio agire.

Non fermiamoci alle, più o meno, plausibili scuse del soprassedere alla convocazione dei primi invitati o all’ira del Padrone di casa; è di maggior interesse considerare la larghezza dell’invito di poi; anzi, all’ordine di condurre “i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi” nella casa (così diversa da quella, forsanche agiata, ma chiusa del fariseo) che è la casa del Padre. Gesù stesso, simbolicamente li introdurrà nel tempio. Quel Padrone di casa, vuole replicare ben oltre l’invito perché tutti, proprio tutti debbano entrare nell’accoglienza della sua casa.

La salvezza è offerta a tutti, il messaggio ci riempia di gioia riconoscente; tutti accolti nella casa, perché tutti possiamo diventare figli che “sempre stanno nella casa”: è il nostro dono, che quaggiù è ancora compito a farci sempre meglio figli di Dio.

 

Don Giovanni Milani