LA FRANA DI COSTA,
“TURBAMENTO DELLA TERRA”

COSTA (fraz. Di Lecco) – Mentre la nostra cittadina nel suo centro e dintorni parla di un bullismo messo a tacere, di una confusa raccolta differenziata, di malavita da prima pagina, di vandalismo, di ritardi e scomodità ferroviarie, di uno stadio che crea disagio ai pendolari che non hanno più parcheggi, incombe una prima aria forse troppo fredda e improvvisa, mentre il lago vuole raggiungere la strada e le montagne si lamentano, sradicando gli alberi e muovendo masse franose. Ma forse siamo troppo impegnati a correre verso l’Expo o a costruire per un’elite che tra poco pianterà le sue villette anche sotto la Croce del Resegone. C’è da chiedersi quando penseremo alla nostra terra, visto che lo facciamo con superbia e paura solo nei casi di disastri.

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Qualche decina di ore fa, ai piedi delle baite di Costa (per chi non lo sapesse è una fra le più antiche frazioni lecchesi alpestri, a pochi minuti dal rifugio A. Stoppani, salendo verso i Piani d’Erna) una frana di terra e fango ha deciso, assieme all’acqua di cui era intrisa, di cedere al movimento della natura, lasciando un vuoto che impressiona. Lì c’era un orto, amorevolmente curato e motivo di vita del suo proprietario. Il sentiero è stato ripristinato con uno scavo nel fango ma la terra è bagnata, fresca di quanto appena successo e di certo non andiamo incontro a un meteo favorevole.

??????????Il timido sole di questa mattina conforta le pareti delle baite che sperano nella fermezza del terreno. Intanto nei boschi che si arrampicano sul Magnodeno e salendo a Erna, molti interventi dei boscaioli volontari stanno ripristinando i percorsi montani interrotti da molti alberi che hanno ceduto alla pioggia e si sono sdraiati, mostrando senza vergogna quelle meravigliose e infinite radici aggrovigliate, che ora sono asciugate dal vento. L’acqua scorre in molti ruscelletti che la montagna sta improvvisando, sia visibili che nascosti dallo strato di foglie autunnale, è quindi consigliato di fare comunque molta attenzione anche nei sentieri più semplici. Questi episodi non vanno trascurati, la nostra città è figlia della montagna prima che dell’industria e del boom edilizio, è raccontata dalle frazioni nascoste dal bosco, è viva per chi un tempo era contadino, pastore, silenzioso abitante della terra e rispettoso dell’acqua, dono della natura che Lecco ha sempre sfruttato e mai ringraziato. Ricordiamoci di essere in affitto nella natura e non proprietari.

Scriveva Raffaele Calzini sul popolo dell’alta Lombardia nel 1934: “Le origini dell’onestà, della fatica di questo grande popolo; i segreti della sua vita, della poesia del suo dialetto, vivono alle sorgenti dei fiumi, alle falde dei monti. Così, di là vengono alle sue piazze, alle sue vie, alle sue case, ai suoi giardini, il respiro delle tramontane, il chiarore delle acque irrigue, il richiamo delle mandrie e dei greggi che, all’aprirsi della buona stagione, salgono dalla pianura verso gli alti pascoli”, che ora, terra di nessuno, se non degli alberi, guardano attoniti i robotici cittadini.

Michele Casadio

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