Anche questa domenica ci porta ad una liturgia tematica con la partecipazione delle genti (nella Scrittura i non Ebrei) alla salvezza, cioè all’offerta universale di salvezza.
Il brano del vangelo ci riporta alla cosiddetta sezione del simposio che vede il Signore Gesù alla mensa di “uno dei capi dei farisei”.
L’esclamazione d’inizio di “uno dei commensali”, che, fariseo com’è, ha cura di volger la vita verso “il regno”: “Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio”, nasconde certo anche una sollecitazione al Signore Gesù che ben la coglie e propone la nostra parabola in sintonia con l’allusione proposta e lo stesso stare assisi a mensa.
L’immagine del banchetto nella Scrittura, sappiamo bene sia spesso figura e richiamo al “regno” nel senso dell’incontro definitivo con il Signore, l’esito felice nella salvezza, l’incontro definitivo e felice alla meta divina.
La parabola ci è sicuramente nota, ma è bene porre attenzione per non superar tutto con superficialità, nella convinzione di avere inteso il messaggio come rivolto ad altri, ai farisei troppo certi delle loro osservanze religiose: l’insegnamento bussa anche alla nostra attenzione, alla nostra vita.
A cominciare dal fondo, dall’esito del banchetto: sono con evidenza proprio quanti sono meno stimati, anzi esclusi dalle categorie religiose abituali di chi partecipa alla mensa cui è assiso anche Gesù, ad essere messi nella luce della beatitudine del regno, quanti non paiono avere il privilegio del primo invito, sì che proprio i primi pongano riflessione per il loro rifiuto alla cortesia di privilegio dell’”uomo che diede una grande cena e fece molti inviti”, evidente immagine del Padre.
Passiamo allora ai primi che, come dice il nostro testo: “tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi”: il primo “ha comprato un campo”; il secondo invece “ha comprato cinque paia di buoi”; e l’ultimo si è “appena sposato”. Le scuse si possono valutare buone o insufficienti a rispondere alla cortesia privilegiata dell’”uomo che diede una grande cena”, ma in definitiva tutti hanno posto il possesso, l’accumulo dei beni, il commercio e la moglie come più importanti di chi invita e, fuor di parabola, di Dio.
Badiamo anche, a far buona riflessione sul seguire il vangelo per il regno, che, qualche versetto dopo – il 26 – nello stesso capitolo, sentiamo dire dal Signore: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”.
Allora qui c’è da pensare a noi stessi. La parabola invita a riflessione multipla, all’esame della nostra vita riguardo a molto, a cominciare dal “commercio”: fare le cose per un interesse, un tornaconto, non per la gratuità dell’amore (dove sta il grande e profondo insegnamento del Signore Gesù con la sua parola e la sua vita, specchio alla nostra) e non pure alla considerazione degli altri, magari anche di quei “poveri, ciechi e zoppi”? Come riusciamo a trovarci in quella, al fine accolta, categoria?
Don Giovanni Milani