DON GIOVANNI MEDITA: VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Benché la parabola ci sia sicuramente nota, ci dobbiamo mettere attenzione non è infatti semplice. Rileviamone innanzitutto il senso polemico nei confronti di Capi e farisei che erano astiosi con Gesù perché, benevolo con poveri e persino peccatori, non pareva badar troppo alle osservanze, li trattava tutti alla stessa stregua, senza enfatizzare lo zelo con cui si pretendevano primi nell’ossequio a Dio (vedi anche l’identica introduzione e finale del brano su primi ed ultimi). 

Non è il fattore a cercar manodopera, ma è personalmente e instancabilmente il padrone ad ingaggiare i braccianti a giornata, ultimi e poveracci fin dopo gli schiavi, in quella società, chiamandoli anche bizzarramente per una sola ora al lavoro nella propria vigna. 

Il centro e senso della parabola è certamente la paradossale giustizia del padrone. Subito anche noi ne rimaniamo scossi ed è facile sentirci, almeno un poco solidali con i mormoratori (ricordiamo però l’allusione che già trovavamo recentemente al mormorare del deserto antico). 

Jeremias, illustre esegeta, ha detto questa parabola il “Vangelo per eccellenza” della bontà di Dio, esprime infatti la misericordia, che già Gesù mostrava evidente nei confronti degli ultimi, ma insieme offre parecchio insegnamento. Il ministero d’annuncio del regno di Gesù, vuole arrivare a tutti e tutti sono chiamati dall’attenzione cordiale – paterna – di Dio, che personalmente chiama ad ogni ora. 

Se facciamo attenzione, riportandoci ancora al significato più vero del dire di Gesù in quella polemica storica (che vale ben anche per noi, proprio noi che leggiamo il Vangelo e “andiamo a Messa”) ci accorgiamo allora che la pagina non parla solamente della misericordia del Padre, della larghezza dell’amore di Dio, ma è piuttosto giocata in attenzione, per certo verso, rovesciata. Non dice solamente come Dio si comporta, ma come ci comportiamo noi – insieme con i lavoratori “della prima ora”, i giusti e tutte quante le categorie polemiche con Gesù – di fronte alla larghezza misericorde del Padre; infatti nella nostra istintività lasciamo sorgere l’invidia per il bene del dono e perdono che qui il Signore Gesù annuncia come del regno dei cieli simile a quell’ἀνθρώπῳ οἰκοδεσπότῃ, quell’uomo padron di casa, nel comportarsi in quel modo per noi paradossale ed urtante, ma ricco di una grandezza d’accoglienza d’amore universale. 

La mentalità farisaica, che ci contamina tanto facilmente, si misurava sul vero, e forse più presunto, merito; qui impariamo piuttosto l’agire cristiano come invito a vivere il Vangelo non unicamente tesi ad ottenere la ricompensa del paradiso, ben più profondamente a fare esperienza, già qui, dell’amore generoso del Padre che sa felicemente superare a nostro favore una giustizia puramente contabile.

 

Don Giovanni Milani