DON GIOVANNI MILANI MEDITA: SECONDA DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

Quanto ci è proposto in questa domenica, nella sequenza della narrazione di Luca, vien dopo la parabola di quello “stolto” che ammassava nei granai pensando darsi poi a bengodi senza far conto della provvisorietà del vivere: più che vivere, ne faceva progetto 

Il Signore Gesù, sempre più intensamente seguito dalle folle dopo il grande discorso che nel terzo vangelo è detto della pianura, qui si rivolge, come leggeremmo nei versetti immediatamente successivi ai nostri, al “piccolo gregge”. 

Vi è qui dunque una particolare cordialità e simpatia verso il gruppetto più esiguo, ma più vicino dei discepoli, cui Gesù si rivolge con un’empatia affettuosa che ama prendere esempi di poesia e bellezza dalla natura, come qui vediamo, in corvi e fiori. 

Ai suoi più intimi – ma certo con consegna al garbo dell’amicizia che sa e vuol comunicare bello e bene – il Signore fa intravvedere mete più alte dell’immediato, gusti di vita più ricchi rispetto alle sensibilità istintive. 

Gesù conosce l’importanza dei bisogni primari e quotidiani, ma sa anche bene – e lo vuole insegnare ai suoi – che pure quelli, non trovano tutto il loro senso nella loro materialità, nel grezzo del nutrimento, certo necessario, e nel bisogno del vestito: è molto più ricco e gratificante vedere oltre l’affanno del procacciarsi quei beni, ma (con sguardo più alto e vero) accoglierli come dono, non solo impegno, così da condirli del senso più vero ed alto dell’umano che è lo spirito. 

Gesù non vuole certo affermare né disimpegno, né trascuratezza verso le necessità immediate e materiali. Sono convinto, invece, che – verso quelle – ci voglia esortare all’impegno in modo più efficace e profondo umanamente, che è quello di vederne le implicazioni più profonde di dono del Signore che sono esse stesse per noi ed anche a noi è dato nell’ottenerle. 

Leggo, nei toni poetici, arricchimento luminoso e bello, dell’insegnamento più vero di Gesù: quello della fiducia nel Signore, più propriamente nella provvidente paternità di Dio: noi ne siamo figli – è sempre da ricordare – ma proprio per questo abbiamo sempre da elevarci a lui anche nello stile alto e di meglio raffinata delicatezza. 

Mette dunque conto guardare anche gli esempi in parabola: il Signore va a pescare i corvi a farci da esempio della generosa provvidenza del Padre: lo fa perché i corvi erano considerati impuri, ci mostra così la larghezza provvidente che si estende all’infimo. Ma anche i gigli: a noi fan salire alla mente i nostri nella loro profumata – fin d’eccesso – bianca eleganza, pure qui, il riferimento alle sontuose vesti di Salomone, ci riporta ai gigli del campo che pare siano invece fiori palestinesi di ben vivace colore (probabilmente l’anemone purpureo). 

L’insegnamento – prendiamone buona nota per il nostro rapporto con Dio – è la fiducia che ci fa apprezzare più lo spirituale che non le immediatezze contingenti, pur necessarie ma di minor tono nell’umano che le arricchisce nell’elevarsi. Ed è pure bello considerarne anche il raffinato comunicare di Gesù tutt’avvolto di bellezza poetica.

 

Don Giovanni Milani