PRO-VITA NEI CONSULTORI. SINISTRA ITALIANA CONTRO MAURO PIAZZA

MILANO – La dichiarazione del sottosegretario leghista Mauro Piazza, che in occasione dell’ultimo Consiglio regionale ha affermato che la Lombardia “intende avvalersi di tutte le possibilità che l’ordinamento mette a disposizione per contrastare la denatalità”, ha prodotto la forte opposizione del mondo politico progressista e del movimento femminista.

A livello nazionale e regionale Sinistra Italiana ha preso posizione, con una dura nota firmata da Silvia Soldatesca, responsabile Sanità SI della Lombardia, Donatella Albini, responsabile Sanità della Segreteria nazionale SI, e Alessandra Fuccillo, responsabile delle Politiche di genere SI della Lombardia.

Il sottosegretario Piazza vorrebbe far credere ai lombardi che la giunta Fontana è intenzionata a fare proprio l’emendamento nazionale che favorisce i pro-vita – meglio sarebbe definirli anti-abortisti – per far fronte al fenomeno della denatalità di questi anni, con l’obiettivo di fornire aiuto alle donne che non vogliono figli perché si trovano in situazioni di difficoltà psico-socio-economiche. Basta menzogne. Basta mentire spudoratamente. Sono oltre 30 anni, dal primo governo Formigoni, che regione Lombardia porta avanti una crociata contro i diritti delle donne in materia di salute sessuale e riproduttiva, libertà nelle scelte della propria vita, di autodeterminazione. Questo è solo l’ultimo capitolo.

Se tale intenzione ha a che fare con l’emergenza natalità degli ultimi anni (fatto questo su cui demografi seri e preparati non concordano), il sottosegretario Piazza dovrebbe rispondere di alcuni fatti.

Primo, come mai in Lombardia, insieme a molte altre regioni, non ha ottemperato alla legge 34 del 1996, per disporre di un consultorio ogni 20.000 abitanti?

Secondo, come mai in Lombardia il numero di professioniste e professionisti sanitari esperti di maternità nei consultori, come ginecologhe e ostetriche, è inadeguato, rispetto invece al personale impiegato nell’area psicologica?

Terzo, come mai la Regione non ha dato seguito alla circolare del ministro della sanità Speranza dell’agosto 2020, come altre regioni hanno invece fatto, sulla disponibilità di mifepristone per l’aborto farmacologico nei consultori familiari?

Quarto, come mai la Regione non consente la contraccezione gratuita, come invece fanno altre regioni italiane?

Quinto, come mai la Regione non finanzia corsi di educazione sessuale nelle scuole attraverso i consultori familiari?

Sesto, come mai la Regione consente l’obiezione di struttura contravvenendo la legge 194 che parla invece di obiezione di coscienza del singolo operatore o operatrice?

Gli amministratori regionali provino a dare risposte a queste domande e poi, se davvero esiste un qualche interesse a far sì che le donne e gli uomini che lo desiderano possano diventare genitori, la giunta Fontana si impegni a: 1) rendere accessibile per tutte il diritto alla salute sessuale e riproduttiva; 2) garantire che le donne guadagnino esattamente lo stesso stipendio degli uomini con la stessa mansione lavorativa; 3) combattere ferocemente le situazioni in cui una donna viene licenziata o non assunta per il suo essere in gravidanza o diventata madre da poco; 4) spingere sul governo per aver un congedo parentale di sei mesi, uguale per uomini e donne; 5) costruire asili che non siano più servizi a domanda individuale, ma il primo tassello del progetto educativo, garantendo così un posto sicuro a ogni bambina e bambino; 6) rimettere i fondi, ora tolti, che garantiscono a una famiglia, con un nuovo nato o nata con una disabilità, un sostegno da parte di Regione per garantirgli e garantirle cure adeguate.

I sermoni e le coercizioni non devono trovare posto in una politica che prende sul serio il proprio ruolo. Servono strumenti sociali, servizi pubblici accessibili e adeguati che garantiscano alle donne che diventano madri il mantenimento del loro ruolo professionale, pubblico e sociale. La politica non deve immischiarsi nelle decisioni di chi sceglie di non essere genitore.