DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA DOMENICA DI ABRAMO

Quanto ci è proposto in questa domenica, non è proprio di agevole lettura, è infatti tutta una polemica che si costruisce in affermazioni e contro-affermazioni che vorrebbero un’analisi minuta: noi proviamo a cavarne lettura più sintetica. 

Gesù si rivolge “a quei Giudei che gli avevano creduto”, ed ora se ne allontanavano, affermando che la verità che li “farà liberi” stia proprio nella sua parola: subito gli si ribatte la discendenza da Abramo che è stirpe di libertà. 

Possiamo subito notare come la paternità, ed il suo termine più immediato ed espressivo: “Padre”, percorra l’intera polemica: ritorna ben 14 volte. È certa – ammessa anche da Gesù – la discendenza fisica degli oppositori da Abramo, non è però la determinante, infatti il Signore fa allusione ai due figli che Abramo ha generato fisicamente: l’uno dalla schiava, che “non resta per sempre nella casa”, l’altro, da Sara, erede, che “vi resta per sempre”. 

Possiamo allora raccogliere come l’essere figlio, non dipenda da discendenza materiale, ma dall’essere generati nel profondo, nello spirito dall’ascolto, o piuttosto dall’osservanza di una parola che può essere nella verità e fa liberi, come afferma il Signore Gesù, o in una falsa verità, creduta tale che, invece, inclina al peccato (e ”chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”). 

Gesù rileva l’impossibilità di ascolto della sua parola degli oppositori perché hanno “per padre il diavolo” che “è padre della menzogna”. Ecco, alla verità che propone la parola di Gesù, non si oppone l’errore come sbaglio, ma la menzogna il “compiere i desideri” del diavolo. Emerge così anche il tema, tanto caro al IV vangelo, della verità che è luce nella parola del Signore Gesù. 

L’aspra polemica degli avversari s’innalza sino ad accusare Gesù d’essere “un samaritano e un indemoniato” (i termini, nell’antica tensione, si equivalevano), infatti afferma che Abramo abbia gioito sperando in lui, nella sua salvezza (“esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”). Il livore, non solo spinge a contrasto di parole sulla pretesa di Gesù di incontro con Abramo, che è intesa in modo solo fisico, ma all’affermazione che il Signore fa di sé stesso con quell’”Io sono” – corrisponde al nome di Dio – si raccolgono pietre per lapidarlo. 

La pagina, con le sue battute in continua contrapposizione è mal agevole da seguire, ma ci propone chiara riflessione su questo simbolo della paternità, dell’essere generati e sulla nostra collocazione nella verità della parola di Gesù non solo nell’affermazione della fede, che può mostrarsi pretesa, ma nella coerenza all’ascolto che si attiva.

 

Don Giovanni Milani