DON GIOVANNI MEDITA SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE

Oggi la liturgia possiamo dire non ci dia un brano di vangelo su cui porre riflessione, non c’è narrazione: sono solamente tre versetti, nemmeno interi, che legge il sacerdote dall’ambone: circostanziano assai bene messaggero, luogo e persona – la Vergine Maria – cui è diretto un saluto fatto di un’esortazione alla gioia e dell’incredibile affermazione della presenza in lei del Signore e ancor prima della condizione beata di grazia gioiosa nella stessa Maria. 

È pur vero che le precedenti letture aiutano bene a leggere – sempre nel dono del Signore: il Signore Gesù, stirpe della donna – vittoria sul maligno e ancora predestinazione e grazia che in Maria vibrano singolari. 

La lettura evangelica e liturgica ci vuole evidentemente concentrare sul saluto di Gabriele, l’inviato da Dio a Maria, in cui noi possiamo rilevare la grandezza donata alla Madonna. 

È davvero evidente l’accurata scelta delle parole (scrive Luca, che da subito ce ne aveva assicurata attenzione) parole che dicono il mistero, la singolarità di rapporto – a noi solo un poco svelato – così unico tra la grandezza divina e la vergine, la giovane “ἐμνηστευμένην: promessa sposa di un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe”. 

La prima parola (che abbiamo abitudine ripetere abbassandola in saluto di consuetudine nell’Ave Maria) è invece di gioia scintillante: “Rallegrati”. San Luca è andato a pescarla nella visione profetica – parola autentica, ispirata – in Sofonia; si tratta certo della gioia di Maria per la singolare attenzione del Signore verso di lei, ma è la felicità che raggiunge ogni uomo nel mistero dell’incarnazione. 

Segue una qualifica: κεχαριτωμένη, piena di grazia. Qui è opportuno fermarci davvero perché nel così abituale e più che quotidiano scorrere della parola anche sulle nostre labbra non è facile coglierne la profondità di senso che dà Luca ed è centro della riflessione festosa e grata di questa celebrazione della grandezza mariana. 

Si tratta di un aggettivo verbale in forma passiva e perfetta. Il passivo non è solo grammaticale, ma divino (come precisano gli specialisti) cioè operato da Dio: quella “grazia” che è stata donata e permane in Maria, è opera del Signore: “il Signore è con te” come già diceva il profeta. 

Questo dono, questa bellezza, questo garbo e dolcezza di Maria è il senso del suo “mistero” e della proclamazione festosa di questa liturgia: la Madonna è centro d’un’attenzione divina che l’ha fatta senza macchia d’origine: piena di grazia, priva della macchia d’Adamo, nuova Eva a noi credenti e al genere umano salvato; reca bellezza e “Grazia” la più vera: il dono di Gesù che nella sua Pasqua vince (calca la testa al serpe diabolico) il peccato e la morte per l’umanità tutta, rigenerata a vita.

Don Giovanni Milani