CALOLZIO: ANDREA VITALI E LA SUA ULTIMA OPERA ALL’ISTITUTO “ROTA”

CALOLZIOCORTE – Il gruppo CulturaInsieme ha invitato all’istituto Rota di Calolziocorte lo scrittore bellanese Andrea Vitali, che ha parlato della sua carriera e del suo ultimo libro “Sua eccellenza perde un pezzo“.

“Vitali – hanno introdotto gli organizzatori – ha scoperto a 15 anni la vocazione per la scrittura e l’ha trasformata scrivendo 68 romanzi, di cui una serie da 6 sul maresciallo Maccadò, oltre a libri per bambini e poesie; le vicende sono ambientate perlopiù nel suo paese, Bellano, dando lustro alle persone ‘piccole’ che hanno fatto la storia; per questo motivo l’abbiamo invitato a Calolziocorte, in un’amarcord del suo passato da paese. Vitali, in un’intervista a Repubblica, ha dichiarato “l’universo sta nei dettagli, il gran mondo moderno non m’interessa”, arrivando da Bellano a più di 100mila lettori nel mondo, fino al Giappone”.

La consigliera Wilna De’ Flumeri, parte del gruppo culturale, ha evidenziato che “Vitali non ha bisogno di un’intervista perché si sa raccontare da solo e ci coinvolge nella sua vita, tra il suo passato di medico, i suoi incontri e le sue opere”. Il filo rosso della serata sono state le parole chiave dei suoi libri, spunto per le domande del pubblico.

La prima parola balzata all’occhio è stata “zitella“: “è stata una delle mie prime folgorazioni: non sono mai riuscito a vederla come una donna antipatica e stereotipata, ne ho incontrate in casa di mia nonna materna, un ritrovo a metà strada tra la scuola e casa mia, donne allegre e piacevoli da ascoltare per un bambino; pensai che la loro gioia era data dal non avere tra i piedi figli e nipoti e decidere da sé la loro vita, e nel tempo ho voluto definire una categoria disprezzata solo perché sola. Un caso singolare, ma stereotipato, è stato quello che ha originato la signorina Tettamanzi: una donna che aveva l’abitudine di venire nel mio ambulatorio per tutta la giornata, forse per risparmiare sul riscaldamento ma sicuramente per tessere relazioni; stava sempre muta, ma era interessata alle chiacchiere e, all’orario di chiusura, s’inventava una malattia di difficile diagnosi come scusa. Un’altra zitella che ho adorato era un’impiegata comunale minuta e cauta, attorno a cui iniziò a girare la voce che avesse un fidanzato, che nessuno aveva mai visto; il pettegolezzo divenne così intrusivo che il messo comunale, dal modo in cui accavallava le gambe, diceva di riuscire a giudicare la sua attività notturna”.

Si è proseguiti con il podestà: “fondamentale nelle storie degli anni ’30, appare nella Storia nel 1925 con l’abolizione dei sindaci e io mi ci riferisco in quanto abitante del municipio; per me è necessario il paesaggio di riferimento come palcoscenico, che ha luoghi imprescindibili come la caserma, la canonica e il municipio: il podestà, soprattutto nei racconti di Maccadò, ricorre fin dall’inizio, affiancando il maresciallo nei suoi casi mai davvero criminali, ma d’intrighi di provincia”. Il podestà “compare anche in Sua Eccellenza Perde Un Pezzo e ha una particolare rilevanza, perché nell’aprile 1930 il paese è rimasto privo della sezione di partito, dopo le vicende dei libri precedenti; egli non sa se commissariare la sezione, tentare di nominare un terzo segretario o proibire di formarla, per questo offre un appoggio alla gita dei panettieri di Como nei fratelli fornai, peccando di superbia”.

I fratelli fornai dell’ultimo libro,”cresciuti in povertà nel lavoro, passano da una vita di fatica a un’evoluzione umana, rompendo l’assedio e presentandosi in municipio per rifiutare la lettera da Como, nel primo passo di una storia che evolve”.

È emersa anche la figura dell’avvocato: “In Una gita in barchetta, ambientato negli anni ’60, ho narrato il cinismo del paese, che per anni non ho voluto trattare, in questo caso quasi inconsapevole: ci sono due famiglie ai margini, da una parte una famiglia meridionale con il padre operaio e il figlio che arriverà a laurearsi in giurisprudenza, riscattando la madre da una vita di risparmio e fatica; dall’altra una famiglia bellanese di una vedova con tre figlie, di cui una affetta da displasia dell’anca mal sopportata dalla madre, la prima mal maritata e la terza bellissima, orgoglio della madre. Le due madri s’incontrano in una partita a scacchi che contrappone l’avvocato e la terza figlia, giocando per farli fidanzare”.

Il focus si è poi spostato sulla connessione tra i lavori di dottore e scrittore: “per me è estremamente stretta: ho cominciato ad affrontare la scrittura da giovane, lontano dall’idea di fare medicina, poi ho passato anni di studio e grandi letture tra il liceo classico e l’università;  non c’è insegnante migliore della lettura per carpire i segreti della scrittura, e come medico sono cresciuto umanamente soprattutto lavorando a Bellano, a contatto con la realtà del paese e carpendo i caratteri e i particolari fisici per delineare i personaggi”. Gli abitanti “non si sono mai riconosciuti nei miei libri perché applico i particolari a diversi individui, inoltre raccontare una storia di oggi nel passato la fa diventare romanzesca e distante”.

Sono centrali anche gli operai: “il lavoro a Bellano era legato al cotonificio Cantoni, fino agli anni ’70 motore economico del paese, lavoro per mille persone e 200 impiegati in filanda su 5mila abitanti; ogni persona ha avuto la sua storia e ogni storia, tra abitudini, fatiche e desideri, è diventata un terreno fertile su cui far nascere i miei racconti. Anche il cotonificio è un luogo topico nel romanzo, e mi colpisce sempre, nei tour di Bellano che faccio con i lettori, il loro stupore di scoprire che il luogo del libro esiste davvero. Il cotonificio indica un periodo di ricchezza interrotto, che ha portato allo svuotamento di un paese e alla sua apparente agonia; per fortuna recentemente il polmone sotterraneo, anche grazie al turismo, ha ricominciato a respirare”.

Il fascismo “nello specifico è quello degli anni ’30, perché negli anni precedenti c’è l’aspetto di fondo dell’omicidio Matteotti su cui non voglio proiettare una storia divertente, lo stesso vale dal 1938 in poi. Tratto gli anni del consenso, in cui gli italiani hanno preso la tessera di partito per sopravvivere e campano senza interessarsi ai piani alti; il fascismo è da avanspettacolo, perché predica l’italiano guerriero, ma con una classe popolare che imita i grassi gerarchi, diventando grottesca. Questo lo trovo nei faldoni comunali e nei giornali dell’epoca, soprattutto nelle notizie dal circondario: per esempio, nel 1931 la Gioventù Universitaria Fascista di Como organizza per 30 studenti meritevoli un viaggio di propaganda in Tripolitania: le tappe, in treno da Como a Napoli e in piroscafo da Napoli alla Libia, durano 72 ore all’andata e al ritorno, ma il viaggio totale è di 7 giorni. L’enfasi dell’epoca fa davvero ridere, per un viaggio dalla durata insulsa. Sua Eccellenza perde un pezzo nasce da una notizia vera, che non ho dovuto forzare perché la gita dei panettieri di Como per il Natale di Roma ha davvero avuto come traguardo Bellano ed è andata bene; nelle mie intenzioni però doveva andar male, con disavventure fin dalla partenza”.

Il pettegolezzo, per Vitali, “è l’anima del commercio, narrativo e letterario, perché è anche un veicolo di fantasia da completare per farne un aneddoto. Olive comprese nasce da una diceria segreta: alcuni giovanotti negli anni ’60 vogliono quantificare il peso reale dell’apparato genitale di un individuo, mistificato ma mai verificato; sostenuti dall’alcol, a Carnevale, decidono di pesare la ‘faccenda’ e ne ricavano un peso abnorme di un chilo e mezzo, che ho ridotto di tre etti nel libro per realismo. Citando Oscar Wilde, “quando non vuole far del male, il pettegolezzo ha un peso letterario notevole”, per cui io ascolto tutto”.

Sui gatti: “io li tollero, ma mi hanno intrigato dal racconto di un fornaio negli anni della guerra: quando faceva il pane, chi catturava un gatto sapeva di poterlo portare a lui perché lo buttava nel forno mentre si spegneva. Ho raccontato questa vicenda all’inizio di Olive comprese e ricordo un lettore che, di fronte al libraio, lo ha restituito dopo averlo letto. Collegata al gatto c’è una figura particolare, abbastanza presente nella tradizione popolare, la gattara veggente”.

C’è stata curiosità su nomi e cognomi: “nessuno corrisponde alla realtà perché mi allontano da descrizioni riconoscibili, il mio escamotage di usare nomi singolari fa allontanare dalla tentazione dell’associazione i lettori e soprattutto i miei concittadini, perché in caso contrario avrebbero la possibilità di riempirmi di legnate nel tragitto verso casa. I miei nomi spesso sono presi dal calendario di Frate Indovino, senza offesa ai santi, modificati e usati per battezzare i personaggi”.

Ha suscitato interesse la figura del prevosto, che “ha a che fare con la perpetua Scudiscia, il prototipo della zitella dedicata a una vita di gioie “canoniche”; la perpetua ‘nasce’ alle elementari, in un pomeriggio di giugno, mentre, con un solo pallone, giocavamo all’oratorio: dopo la partita, mi fermo in piazza della chiesa e vedo un signore suonare alla canonica; la perpetua apre la porta e chiede “se ghè?”, “dovrei parlare col prevosto” (che è al piano di sopra e sta guardando dalla finestra), “al gh’è minga”, “ma lo vedo di sopra”, “o di che al gh’è minga” (lì il prevosto si ritira in canonica e il signore se ne va)”.

La figura del maestro “per me è Fiorentino Crispini; c’è anche la maestra fiabesca delle storie natalizie, ma Crispini, che compare anche nella serie di Maccadò, nasce vent’anni fa ne Il Segreto di Ortelia: oratore ufficiale del regime, non è un servo convinto, ma presta penna e voce agli eventi; come altre figure, nel tempo cresce d’importanza nel mio immaginario, fino quasi ad essere protagonista in Un Bello Scherzo e fondamentale nelle storie tripolitane come diarista; nel mio immaginario tanti personaggi, chiusa la storia, restano perché possono avere futuro”.

Bellano “al di là della vita quotidiana è il centro di un mondo immaginario che non ha confini, partire dal liogo che si conosce meglio come i grandi narratori, come Andrea Camilleri che dal francobollo di terra di Vigata ha creato un mondo. Bellano è presente anche nelle storie dove non è citata, è un paesaggio fisico e umano, che scopro ancora oggi tra luci e stagioni”.

Il ristorante, “la Trattoria del Ponte vicina al porto, resta un ricordo quasi archeologico di un passato che non c’è più; nella gita dei panettieri la direttiva del regime segnalava gli scopi culturali e ludici, sicuramente raggiunti perché in quegli anni c’erano 15 osterie a Bellano. L’Osteria del Ponte è l’appendice sopravvissuta di un’epoca passata”.

La consigliera De’ Flumeri ha chiesto “che percorso ha fatto verso l’età adulta l’Andrea Vitali che scriveva da giovane?” “Il discrimine importante è stato la scoperta del luogo di Bellano, dai 25-26 anni: questo momento ha improntato la scrittura e la storia da raccontare, mentre prima ero legato a un mondo buzzatiano, più verso la speculazione astratta, poi ho narrato anche la realtà nuda e cruda”.

Il furto, “realtà che ho vissuto da contemporaneo, in La Verità della Suora Storta narro di ladri di polli che ogni tanto si recavano a Milano per ‘necessità fisiologiche’ in treno, comodo ed economico: dopo l’espletamento dei bisogni, non si poteva tornare a casa dopo le 21 per mancanza di mezzi, così l’unica soluzione era quella di rubare una macchina, che, una volta usata, era portata sullo scivolo di Dervio e mandata sul fondo del lago”.

Riguardo i prossimi progetti, Vitali ha svelato di avere in programma un altro libro con altre idee non spostabili dagli anni ’30 e di voler proseguire la carriera. Sulla resa televisiva di Maccadò, “il progetto, avviato nel febbraio 2020, è ripreso e si sono concluse 4 sceneggiature da 4 romanzi; ora tocca alla Rai, la previsione è di realizzare in primavera, per l’autunno prossimo, 4 storie autoconclusive”.

De’ Flumeri ha concluso ringraziando la preside dell’istituto Rota Carmela Teodora Carlino e riflettendo: “mi sono ritrovata nell’affermazione che il paese sta invecchiando, il nostro è un tentativo di mettere in campo iniziative per sviluppare l’incontro e far uscire dalle case le persone, portando idee e novità”.

Michele Carenini