MEDITAZIONE DI DON G. MILANI
NELLA DOMENICA DI ABRAMO

Cominciamo con un’osservazione pensosa su questo capitolo ottavo: inizia con un tentativo di lapidazione di quella poveretta sorpresa in adulterio; poi anche si chiude in un modo simile: Gesù ha detto “Io sono”, alludendo a sé con il nome di Dio e vorrebbero lapidarlo; l’uccideranno ugualmente, ma adesso “non è ancora la sua ora”. La lettura che ci è proposta non è proprio di narrativa scorrevole: è parte d’una polemica che si fa rovente in cui Gesù si rivolge dapprima a “quei Giudei che gli avevano creduto”. C’è subito da intendere bene: non avevano creduto in lui, non gli si erano affidati, avevano solo ascoltato parole ed eran rimasti estranei, non liberi dice il Signore. Qui c’è probabilmente assai da meditare anche per noi. È evidente che la libertà di cui parla il Signore, non è quella civile, ma interiore; ed è interessante che insistentemente leghi la verità e la libertà alla paternità. A quella alta di Dio; a quella d’Abramo, che vede Isacco libero mentre Ismaele che “non resta sempre nella casa”; poi fino alla paternità del diavolo, che si evidenzia nelle opere degli avversari. Continuamente in tutto il brano emerge la parola: Padre. Positivamente, nell’esser figli in un’evidente continuità generativa col Padre celeste così da poter “rimanere” (μείνητε), dimorare nella parola che congiunge al Padre celeste, così come anche in Abramo; o diventa paternità negativa in una continuità che congiunge al diavolo, il divisore e fa dunque la vita uno scontro con la verità. È interessante questo congiungere la verità alla relazione (generativa-figliale). Evidentemente, per Gesù la verità, non è speculativa: investe la vita, il significato le è dato da legame generativo, di vita.

La libertà è data dall’aderire a Gesù in modo pieno, l’affidarglisi lasciando agire la parola ricevuta: la verità dell’uomo non è quella letta dagli occhi, ma quella del profondo: si può essere discendenza d’Abramo senza coglierne il suo generare più vero: quello nella fede: capita agli avversari di Gesù che senza essere fisicamente schiavi, sono incatenati dentro il loro odio: vorrebbero uccidere Gesù, per loro verità avversa. La violenza, sempre meno verbale, degli avversari, vorrebbe Gesù “Samaritano” cioè “indemoniato”, rovesciando quanto indica proprio lui che esprime continuità con Abramo e arriva a proclamare l’”Io sono” – nome di Dio – attribuendolo a sé stesso. Siamo meno interessati alla polemica che si fa fitta, quanto invece al senso che ci è richiamato, alla fede: dono primo battesimale. La fede – lo dichiara con chiarezza pure il catechismo – genera figliolanza divina in Gesù Figlio: è vivere, già qui in terra, condizione nuova; certo non per le evidenze materiali, pure schiude consapevolezza e chiede frutti di vita. 

 

Don Giovanni Milani