MEDITAZIONE DI DON G. MILANI:
NATALE DEL SIGNORE

È facile prendere l’inizio del brano che leggiamo, proprio nel Natale del Signore, semplicemente nella sua precisazione storica come dovuta al proposito delle “ricerche accurate” e del “resoconto ordinato” che ci ha promesso l’evangelista Luca, così leggeremmo solo in modo piatto e parziale, perché il richiamo alla storia universale (con nascosta allusione all’oppressiva pax romana) non ha solo significato di attenta collocazione nel tempo, ben di più, ci introduce nel grande mistero di salvezza sottolineando la pienezza dei tempi e insieme contrapponendo il dominio mondano di Cesare Augusto che ordina per “tutta la terra” e questa nascita del vero re del mondo nella provvisorietà umile che pure è del Salvatore. Proprio qui sta la teologia di Luca e del suo narrare che insiste nella descrizione delle piccole cose che rilevano segni profetici: Giuseppe, di stirpe regale, che, per un evento impensato, evidentemente la comunica al ‘figlio’; l’ordine (δόγμα!) di Cesare fa adempiere vaticinio di Scrittura sul luogo d’origine, sempre nel modo inatteso di sommessa umiltà, di provvisorietà che già possiamo leggere segno dell’insegnamento, del vangelo del Salvatore; infatti questa grandiosa piccolezza è, innanzitutto, rivelata non ai potenti, ma agli umili, agli ultimi, impuri pastori: “la gloria del Signore avvolse di luce” a loro è annunciata “la grande gioia che sarà di tutto il popolo”.

Questo evento, centrale ad ogni storia d’umanità, si compie in una nascita che, in valutazione mondana, pare l’ultima: non ha luogo adatto di accoglienza, certo c’è la cura della mamma che con premura lo accoglie e l’avvolge nei panni per porlo non in una culla, solo gli è fatto giaciglio da una mangiatoia, eppure gli angeli proclamano la nascita di “un Salvatore – quel piccolo bambino – che è Cristo Signore”. Quel bambino, in quella semplicità indigente, dà modo alla lode di Dio “nel più alto dei cieli” di “una moltitudine dell’esercito celeste” che indica in lui “pace sulla terra agli uomini che ‘Dio’ ama”.

Perché la lode a Dio per una nascita in segni così esigui? Perché proprio in quella piccolezza, in quella umiltà si rivela – vero, in modo per noi impensato – l’amore del Signore che qui comincia a mostrarsi a noi uomini: inizio che prelude a profondità e durezze, sempre da noi imprevedibili, quale sarà la donazione totale d’amore dell’annientamento sulla croce. Non è da trascurare la figura di Maria qui delineata nel suo amore tenero, materno, addirittura verginalmente senza dolore (è lei stessa che accudisce il bambino): la sua maternità fiorirà universale per tutti noi nella sofferenza straziante della morte di croce.

 

Don Giovanni Milani