MEDITAZIONE DI DON G. MILANI
NELLA SECONDA DOMENICA
DOPO LA DEDICAZIONE

In questa domenica lo sguardo ampio – caratteristico di queste ultime settimane dell’anno liturgico – e già richiamato nella discendenza d’Abramo e nel banchetto universale di Isaia delle prime letture, è ben presente anche nell’invito a tutti “cattivi e buoni” della parabola di oggi, ultima di tre – fuor dal discorso in parabole – proposte ai livorosi “sommi sacerdoti e farisei”. Naturalmente dobbiamo subito allontanare l’interpretazione solo storica, che non ci coinvolga, leggendola dunque rivolta solo a riflessione e addirittura condanna, del passato: è a noi oggi che parla. Il banchetto di nozze, è ben chiaro sia la condizione messianica – il figlio del re, è il Messia – e ci riporta nella luce di Gesù, inviato agli uomini; è la grande opportunità di salvezza dell’uomo che ne accoglie l’annuncio ed è immerso nella creazione nuova del suo mistero di morte e risurrezione. Subito per trarlo a noi, quest’annuncio parabolico, mi piace ripensare all’immagine del banchetto, come al dono in cui siamo, anche materialmente, immersi: il banchetto è immagine della pienezza del creato.

Badiamo però che la parabola non comporta unicamente invito universale e gratuito; nella seconda parte, quella del singolare, ingrato invitato che trascura l’abito nuziale – parecchi la pensano parabola a sé – c’è segnale evidente della nostra corrispondenza d’impegno al banchetto dove “tutto è pronto”. Anche questo racconto, proprio per la sua natura di parabola, è disseminato di tratti allegorici: Dio, il re e il Figlio Messia, come detto; i servi, offesi e oltraggiati, son profeti ed apostoli (ma solo?); l’incendio delle città cero allude alla distruzione di Gerusalemme (e pure alla purificazione escatologica!).

Più che leggerla nei dettagli storici o attuali; sarà utile riferirla a noi, nelle opportunità che ci son offerte dall’annuncio evangelico che anche oggi risuona, con sollecitazioni sempre nuove – ad esempio nel magistero della Chiesa – e ancor più, nel dono che ci è fatto del senso nuovo che la nostra persona trova in Cristo, poi nell’impegno per il suo regno, fattivo di concretezza spirituale e non solo. I sommi sacerdoti e i farisei, sentendosi di mezzo, reagirono nella violenza che ben conosciamo; noi, forse, è pur bene ce ne sentiamo colpiti, ma – è il desiderio del Signore – accogliendo la sua proposta, non mostrandoci indifferenti e neghittosi sino alla violenza dei primi “indegni” “chiamati” per essere – sempre giusta l’intento di Gesù – noi pure tra gli “eletti”. 

 

Don Giovanni Milani