LETTERA/COMMISTIONI MAFIA
E STATO: MENO CELEBRAZIONI
RETORICHE E PIÙ COERENZA!”

La mafia non è affatto invincibile; è un fatto e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.” Così si esprimeva Giovanni Falcone che, ben lungi dal disincentivare l’impegno di ogni cittadino a concorre alla lotta contro le Mafie, indicava una precisa condizione per tutte le istituzioni.
È bene nitidamente ancora ricordarlo a trentanni dalla morte di Falcone e Borsellino, quando in questi giorni andranno in scena commemorazioni celebrative purtroppo spesso solo retoriche.
E giù dosi massicce di parole “alte” come “Cultura della legalità” e “senso dello Stato”.
Parole sì “alte” ma spesso ipocrite se non accompagnate da un reale impegno delle Istituzioni nel tentativo di dissipare le micidiali ombre che hanno accompagnato molte stragi del nostro martoriato Paese.

E la coerenza dello Stato non potrebbe che esprimersi nel non lasciare soli quei suoi veri “servitori” che continuano con coraggio a ricercare la verità di quelle stragi non fermandosi al livello che in molti, compreso l’unico superstite dell’attentato di Capaci, hanno definito di sola “manovalanza mafiosa”.
Manovalanza mafiosa collegata e a volte addirittura eterodiretta da forze che sempre più nitidamente, per chi vuol vedere, hanno coinvolto e continuano in vari modi fondatamente a coinvolgere parti importanti del nostro Stato.
E la dimostrazione, per chi non vuole girare la testa dall’altra parte, sembra incarnarsi proprio in quel non adeguatamente supportare i magistrati più esposti lasciandoli nei fatti paradossalmente isolati, se non ci fosse il sostegno di molti cittadini loro riconoscenti.

In questo sembra riviversi ancora una volta amaramente la lezione “inascoltata” delle storie connesse di Falcone e Borsellino, la difesa della cui memoria non può non incarnarsi nel sostenere questo loro “eredi” in tutti modi possibili.
Altro che discorsi retorici celebrativi delle massime cariche dello Stato!
Magistrati come Nino di Matteo e il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, impegnati da anni sui fronti più pericolosi caratterizzati da, cito il libro del 2018 “Il patto sporco” di Saverio Lodato e dello stesso Nino Di Matteo, “silenzi, depistaggi, pressioni ai massimi livelli ( anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini”.
E sarà un caso che Gratteri ( inevitabile l’accostamento ad analoghe vicissitudini occorse a Falcone) non è stato recentemente nominato Procuratore Nazionale Antimafia ? ad ogni cittadino pensante farsi un’opinione …

Ma leggiamo il virgolettato di Di Matteo nel libro sopra citato :
“ Chiediamoci perché politica, istituzioni, cultura abbiano avuto bisogno delle parole dei giudici per cominciare finalmente a capire …. Un manipolo di magistrati e di investigatori ha dimostrato di non avere paura a processare lo Stato. Ora anche gli altri devono fare la loro parte.”
E ancora dello stesso Di Matteo, in un altro libro più recente del novembre 2021 scritto sempre in coppia col giornalista Lodato “I nemici della giustizia” riguardo alla sentenza “assolutoria” di 2° grado (opposta a quella di 1° grado che aveva sancito vari colpevoli “di Stato”) del processo alla “Trattativa Stato- Mafia” :
“Prendo atto, in attesa di leggere le motivazioni, della sentenza di secondo grado, di segno opposto alla prima. Ma, lo voglio dire con chiarezza, nessuna sentenza, nessuna motivazione assolutoria nei confronti degli imputati, potrà cancellare i fatti oggettivi che sono emersi nel dibattimento di primo grado. E sono fatti da far tremare i polsi, che restano scolpiti nella storia non solo giudiziaria del nostro Paese, e che, costituiscano o no un reato ascrivibile a questo o a quell’imputato, il popolo italiano ha il dovere di conoscere. Sono fatti che solo la tenacia dei pubblici ministeri e dei giudici di primo grado ha portato alla luce, strappandoli dalla polvere di archivi istituzionali dove erano stati ben occultati. Raccontano inequivocabilmente come Cosa nostra abbia concepito, organizzato ed eseguito le stragi del biennio 1992-1993 nell’ottica di un dialogo a distanza, ma costante, con lo Stato”.

Mi si scuserà se riporto un altro passaggio letterale dello stesso libro che rende, più di tante parole, l’idea riguardo un altro “sconcerto istituzionale” relativo alla cosiddetta “Riforma Cartabia”.
Domanda di Lodato: “Mentre si discuteva della riforma, i magistrati simbolo della lotta alla mafia, oltre a lei Gian Carlo Caselli, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli e l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, hanno espresso giudizi duri nei confronti della riforma, soprattutto per quanto riguarda le questioni legate alla criminalità organizzata. Alcune di quelle preoccupazioni, in parte, sono rientrate. Ma non trova strano che in un Paese con una magistratura d’eccellenza, dovuta purtroppo alla presenza di poteri criminali altrettanto eccellenti, non ci sia stato un tavolo comune con la ministra Cartabia e questi magistrati ?”
Risposta di Di Matteo:
“Non è una questione di tavolo. Alcuni di questi magistrati erano stati interpellati in sede istituzionale sul progetto di riforma. E’ qualcosa di diverso e per me più preoccupante. È  possibile che un governo con una maggioranza così ampia che lo sostiene, una ministra di indiscutibile capacità ed eccellenza tecnica, tanti magistrati consulenti e collaboratori dell’esecutivo non si siano accorti dei danni letali che quella riforma avrebbe arrecato alla lotta alla mafia? È mai possibile che sia stata ancora una volta necessaria l’esposizione pubblica dei magistrati antimafia, sempre i soliti pochi, per richiamare l’attenzione su aspetti gravi e inopportuni della riforma ?

È un dato di fatto. E ci rattrista profondamente. Equivale a un’implicita indicazione : la lotta alla mafia è condotta non dallo Stato ma da alcuni magistrati, fanatici e inutilmente allarmisti. Un gruppo ristretto di disperati oltranzisti che, come gli ultimi soldati giapponesi, si ostinano a combattere una guerra ormai finita. Come ho già ricordato, per quanto riguarda i processi di mafia, seppure in maniera non del tutto soddisfacente, il progetto di riforma è stato modificato in extremis. Non è la prima volta che capita ….”
Parole eloquenti di un reale “Servitore dello Stato”, condivise da molti cittadini consapevoli, ed ineludibili per chi vuole realmente onorare la memoria di Falcone e Borsellino!
Per chi volesse approfondire verificandone ulteriormente l’inquietante fondatezza ecco un’aggiornata inchiesta televisiva del giornalista Andrea Purgatori “Paolo Borsellino depistaggio di Stato” trasmessa pochi giorni fa.

Germano Bosisio