UN LECCHESE DEPOSITARIO DEL SEGRETO DELLA MORTE ITALIANA DI EVITA PERON

Nome: 302-eva2.jpg - IngrandisciVALMADRERA – Ai più giovani il nome di Evita Peron dice poco, qualcuno la ricorda perché la cantante Madonna alcuni anni fa gli ha dedicato un successo in concomitanza con il film sulla vita di quella donna che negli anni Cinquanta seppe  infiammare i cuori degli argentini. Così tanto icona popolare da diventare scomoda perfino da morta al punto da spingere i servizi segreti argentini ad esiliarne la salma spedendola in gran segreto in Europa.

Aldo Villagrossi, bergamasco di origine, ora residente a Valmadrera casualmente da bambino incrociò questo grande segreto internazionale e ora d’adulto ha cercato di dipanarne la matassa.

VILLAGROSSICome Arianna nel labirinto del Minotauro, Villagrossi ha seguito le tracce a ritroso e oggi afferma che il corpo di Evita Peron, mai ritornò in Argentina ed è ancora sepolto in un cimitero abbandonato di Sforzatica (Bg). Ne ha parlato anche il periodico Oggi nel numero in edicola la scorsa settimana.

Eva Duarte fu la seconda moglie di Juan Domingo Peron, militare che dopo anni di posizioni di rilievo nel quadro politico del proprio paese diventò presidente dell’Argentina nel 1946 anche grazie alla giovane moglie Eva Duarte, ex attrice radiofonica, sindacalista e decisa sostenitrice dei più deboli. La gente la osannava e l’amava, mentre il marito a tappe forzate industrializzava il proprio paese con l’appoggio dei militari.

Nel 1952 Eva Duarte, poco più che trentenne, muore per un tumore all’utero, Peron decide di costruire un mausoleo per la conservazione della salma dopo averne affidato l’imbalsamazione allo stesso medico che aveva mumificato Lenin.

Peron viene deposto nel 1955 dall’esercito mentre l’Argentina si trova in piena crisi  e alle prese con una grande inflazione provocata dallo stravolgimento economico voluto da Peron stesso. A quel punto il corpo di Evita diventa per il nuovo regime uno scomodo simulacro, che conseva l’ardore per il peronismo. Lo consegna quindi ai servizi segreti per farlo sparire e per dargli sepoltura. Però l’imbalsamazione non andò perfettamente tanto che presto qualcuno si accorge che quello che tutti credono il corpo di Evita potrebbe essere una statua – spiegaVillagrossi.  Per non creare altri problemi intorno alla salma di quella che ormai è una leggenda in Argentina si sceglie di far sparirne le spoglie, portandola in Italia con l’aiuto di ambienti ecclesiali.

Agostino Rocca, il famoso industriale fondatore della Tenaris Dalmine attuale, s’ incarica di organizzare il trasporto di entrambi i corpi. La vera Evita Peron viene trasferita a Dalmine, l’altra mummia finisce a a Milano, al Musocco, sempre sotto il falso nome di Maria Maggi ved. Demagistris.

Secondo Villagrossi per depistare i peronisti a 25 persone vennero affidate altrettante bare con il compito di tumularle in segreto anche in Argentina, ulteriori quattro raggiunsero l’Europa, una in Belgio, una a Roma, una a Milano e una appunto a Dalmine.

Lui ne vide la tomba da bambino quando un certo Jorge, argentino assunto dalle acciaierie di Dalmine, chiese nel 1973 al padre di Villagrossi, anch’esso impegnato nel grande stabilimento siderurgico, di essere aiutato a trovare la tomba di una certa Maria Maggi. Insieme ne individuarono la lapide e ogni giorno per un anno il sudamericano portò un fiore su quel sepolcro, salvo poi ripartire improvvisamente quando Peron assurse di nuovo al potere nel 1974.

Jorge non rivelò mai la sua vera identità, ma Aldo Villagrossi scoprì in seguito essere un agente segreto peronista, poi docente universitario a Buenos Aires, dove il nostro l’ha incontrato: “Ha raccontato alcune cose, ma mi ha impegnato a non rivelarle”. Nonostante ciò il valmadrese ha cercato di precisare il quadro degli spostamenti della salma di Eva Duarte detta Evita. Il risultato di queste  ricerche sono pubblicate in un libro dal titolo ‘Le false verità‘ pubblicato in forma di ebook su Amazon.

Villagrossi che nella vita si occupa di farmaceutica racconta come nel 1956 dopo una telefonata dall’Argentina da parte di un industriale italiano ivi residente la salma arrivò a Dalmine presa in carico dal capo della Ragioneria delle acciaierie di Dalmine e dal parroco di allora, don Sandro. Fu fatta passare come una paesana emigrata in sud America che voleva essere sepolta in patria. Ai funerali dice Villagrossi non c’era però nessun parente a parte una donna elegante che poi firmò il registro dei preseti come suor Giuseppina Airoldi. La stessa persona era presente a un’altra tumulazione sempre di una bara a nome di Maria Maggi, vedova De Magistris, nel cimitero di Musocco nel 1957. Fu quest’ultima salma ad essere restituita a Peron mentre era in esilio a Madrid nel 1971. All’apertura della cassa Peron pare abbia esclamato: “Mascalzoni!”, non riconoscendo il corpo che vi era contenuto. Poi incaricò Jorge di custodire la bara del cimitero di Dalmine.

E oggi quel bambino che vide la lapide della Maggi ne ha ricostruito la storia e i suoi passaggi, ma non è intenzionato a rivelare l’identità del docente universitario argentino che per un anno si prese cura di una tomba in un piccolo cimitero della bergamasca. Forse un giorno in una nuova edizione del libro descriverà in dettaglio tutte le prove di cui è in possesso.

Nadia Alessi
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