DON G. MILANI, MEDITAZIONE
SULLA DEDICAZIONE DEL DUOMO

Il nostro testo evangelico ha richiamo piuttosto istintivo (altro è l’unico tempio di Gerusalemme, altro la nostra amata cattedrale, pure una tra tante) alla festa odierna della dedicazione del Duomo; è infatti ambientato nel tempio – luogo così significativo, specie nel IV vangelo –, meglio nel portico (ἐν τῇ στοᾷ) di Salomone dove Gesù camminava (περιεπάτει). La scelta delle parole pare alludere alla sapienza dell’antica filosofia greca e insieme a quella ebraica di Salomone indicandoci così quella vera del Signore Gesù. I Giudei (i soliti rivali di Gesù) “gli si fecero attorno” – già nell’atteggiamento cogliamo minaccia – “e gli dicevano: -Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se sei tu il Cristo dillo a noi apertamente.”

Gesù risponde averlo già affermato contro la loro incredulità; anche le opere compiute nel nome del Padre – ha da poco sanato il cieco dalla nascita – gli porgono testimonianza, ma il loro opporsi, la loro mancanza di fede dichiara la non appartenenza alla sue “pecore”. Asserisce Gesù: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”.

La polemica dei soliti avversari del Signore, dopo il segno del cieco nato, avvolge tutto il nostro capitolo decimo dove l’immagine insistita nell’insegnamento del Signore è qui quella del pastore e del gregge. Non ci siamo troppo consueti anche quassù: vediamo qualche giorno all’anno le transumanze che ci donano quasi meravigliato e sorridente diversivo, poi poco oltre: quello è davvero altro contesto.

Pecora non è chi s’affidi senza riflessione, ma chi è “conosciuto” – con tutta l’intensità dell’espressione biblica – e “segue ascoltando la voce”. Il legame tra il pastore Gesù e le sue pecore è così solido che nessuno “le strapperà dalla sua mano”, perché gli sono state date dal Padre che “è più grande di tutti”: impossibile sottrarle a lui. Gesù dà “la vita eterna” quell’esistere in comunione con lui e con il Padre (“io e il Padre siamo una cosa sola”). Ci è assicurato, con la forza e la certezza del sempre: nulla ci potrà staccare, strappare da quell’abbraccio di vita, non semplicemente di consuetudine affettuosa, che ci offre la sequela del Signore.

Quell’ascolto della voce per seguire Gesù – la fede nel Signore Gesù – è oggi invito rivolto a noi: non è la saggezza di Stoici e Peripatetici, supera la sapienza di Salomone; non ci offre discorsi illuminati; ci dà meravigliata certezza di intimità e vita nuova – tanto diversa da quella che ci pulsa dentro in affetti ed affanni – nella certezza che nessuno ci strapperà dalla comunione con Dio.

 

Don Giovanni Milani