DON G. MILANI, MEDITAZIONE
NELLA SESTA DOMENICA
DOPO LA DECOLLAZIONE
DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Anche questa parabola – benché non così frequentata come quella di domenica scorsa – la conosciamo; spesso non troppo bene, perché ha più letture e se non arriviamo al punto di vista del Padreterno ci lascia sospesi. Come in tante parabole, il padrone allude al Signore; la piazza al mondo; la vigna al rapporto con lui, la Chiesa? Anche oggi, lui, il Signore, dà senso agli uomini chiamandoli, assumendoli “al suo servizio”, badate: “nella vigna”. La storiella non ci sta insegnando l’equità sindacale, piuttosto il nostro rapporto col Signore che è sempre grazia: è lui (qui nella veste del “padrone di casa”, non a mezzo di servi o del fattore) che ci vien a cercare con insistente attenzione ad ogni ora, fosse pur l’ultima, come operai per la vigna.

Già la vigna, antico, ricco e bel simbolo, in cui si fatica con promessa di avere il giusto. E il giusto è sempre possibilità di sostenere la vita: il famoso denaro – in un’economia di sussistenza come quella – è normale salario e insieme sostegno minimo dell’esistenza, difesa all’indigenza alla fame (c’è una sorta d’equità in quel dono). Soprattutto vediamo la grazia, l’amore di Dio che dà a ciascuno, non lascia mancare il necessario, certo con esuberanza (almen per quelli venuti poi) del suo dono rispetto al merito. Ecco qui un altro punto nodale dell’insegnamento: abbiamo un merito rispetto a chi, con personale e intensa attenzione, ci chiama nell’ambiente fecondo di fatica e bellezza buona della sua vigna? C’è in gioco la sproporzione del nostro merito, impegno e della grazia, del dono in cui veniamo immersi. Sì spesso pensiamo che il Signore ci ami più o meno a seconda dell’impegno che mettiamo nei suoi confronti e non ci accorgiamo della sua amorosa equanimità paterna; lui non è debitore verso chi viva l’impegno: tutto è grazia.

Badiamo poi – qui ci è ben significato – è sempre sua l’iniziativa, insistente sin che è giorno, poi si esce dal tempo dell’impegno e viene quello della remunerazione da vedere senza occhio cattivo in contrapposizione alla sua bontà (ὁ ὀφθαλμός σου πονηρός ἐστιν ὅτι ἐγὼ ἀγαθός εἰμι;). L’occhio cattivo (o l’invidia, com’è tradotto) di chi ha sì faticato, ma non si è accorto che quella lunga giornata è stata opportunità e grazia, evidentemente rovina un rapporto di pacifica equità e finisce con un distacco, un tremendo “vattene”.

Forse sollecita proprio me, da sempre nella tradizione cristiana, a meglio gustarne dono nell’opportunità d’avere e aver avuto consuetudine buona e orientamento a valori tanto alti. C’è anche altra lettura. I primi chiamati hanno contratto preciso, gli altri si fidano di ricevere il giusto, ed hanno addirittura abbondanza, questi ci dicono di una fede più vera.

Ma una sorta di morale chiude la pagina: “Gli ultimi saranno primi, i primi ultimi”. Di contro a coloro che sono certi d’aver merito, si darà chi sa di non meritare nulla, ma – come il buon ladrone – s’abbarbica, avendo fede nella sua bontà e grazia al Signore: quelli saranno i primi, non tanto remunerati a saziar fame, ma accolti nell’abbraccio di Cristo Signore.

 

Don Giovanni Milani