RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON MILANI NELLA DOMENICA
CHE PRECEDE LA DECOLLAZIONE
DI SAN GIOVANNI

Sappiamo bene che il vangelo di Matteo è costruito sul numero sette e i pilastri centrali sono i cinque discorsi; qui siamo al secondo – detto abitualmente missionario – pur non riportato interamente. In quanto qui ci è proposto, continuiamo a vedere la cura di formare l’apostolo, il discepolo: ciascuno di noi. Il tono è di un parlare a voce spiegata, incisiva e sonora, non quello affidato a confidenza delicata e dedicata come sarà nell’accorata ultima cena.

L’inizio del brano, così com’è ritagliato, è esortazione al coraggio, a non avere paura.

Seguire Gesù è certo scelta coraggiosa che chiede di valutare quanto più conta: non è il corpo, per cui l’attenzione ci è più istintiva, ma l’interezza della persona (diremmo con linguaggio più attuale). È invece l’uomo – nella sua radice e nel sempre – che tutela il Signore, meno la sua provvisorietà corporea. Nella retorica del suo tempo, Gesù parla anche per converso: “Abbiate paura piuttosto di colui che ha potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo”, il senso però – notiamolo – è proprio ad affrancarci dalla paura. Gesù ci invita all’osservazione delle piccole cose; fin gli uccellini (da un soldo a coppia) che non cadono a terra senza il consenso del Padre; quanto più, lui che ha conto fin dei nostri capelli, avrà cura di noi. Dunque l’espressione è retorica, non dobbiamo temere nulla, neppur la morte
procurata dagli uomini – è del solo corpo – loro non hanno potere (quanto il Signore) dell’intera persona. Ci si dice allora che nel Padre troviamo delicata attenzione e cura fino oltre la possibile morte.

Il coraggio dell’apostolo, questo ci è di gran conforto, riposa sulla fiducia nel Padre (“vostro”, cioè di noi tutti). Il coraggio cristiano, non è sfida altezzosa, sicura di sé, riposa invece sul riconoscere la nostra fragilità che divien forza solo coll’aiuto del Signore. I toni forti continuano nell’esigere fede nella persona stessa di Gesù: diviene discrimine, nelle parole del Signore, addirittura spada tagliente che divide fin quanto appare più naturalmente congiunto: “nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”.

Amare il Signore Gesù, appare esclusivo, in verità è piuttosto da pensare un amore tanto fondante da dare senso ad ogni altro affetto; è fare centro nella scelta difficile di seguire il Signore che dà caratura ad ogni rapporto. (“Portare la croce” allude alla pratica – che sarà anche nella passione del Signore – di caricare il condannato del patibolo – i bracci trasversi – per sottoporlo al ludibrio della folla).

L’imitazione piena di Gesù, non è semplice discepolato, né ha solo la sua approvazione, ha anzi il riconoscimento davanti al Padre. La conclusione del discorso di invio, di missione non può che essere sul tema dell’accogliere.
Farlo per un discepolo è farlo direttamente a Gesù (qui si ricalca l’uso antico che fa conto dell’inviato quanto di chi manda) il discepolo non solo imita Gesù, ne assume persino la dignità.

 

Don Giovanni Milani