RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI
NELLA 12ª DOMENICA
DOPO PENTECOSTE

Il brano che ci è consegnato dalla liturgia è introduttivo al secondo discorso, quello  apostolico o missionario di Matteo. Sappiamo che il primo vangelo è costruito su sette libretti, di cui cinque sono attorno ai “discorsi”, qui siamo alla terza unità di questa divisione settenaria. A coglierne la portata, mi piace ricordare, nei discorsi intensi della cena di Giovanni, quel: “Come il Padre ha mandato me così io mando voi” (20,19) che ci dà il tono alto di questa consegna anche nelle espressioni di “profezia”: presenza forte d’ispirazione divina.

Il centro di tutto, è utile anticipare, è quel “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, che, nell’originale, insiste su garbata sfumatura di dono (δωρεὰν). Ma procediamo con più ordine: Gesù invia con compito del tutto simile al suo: si dirigano i discepoli “piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” e “strada facendo” dicano che “il regno dei cieli è vicino”. Ci sono poi altre azioni – sempre simili all’operare del Signore – tutte dirette a dare sollievo ad umanità provata (come è un poco sempre) i gesti indicati sono espressi in taglio profetico che parte dalla fragilità di concretezza fisica sino alla piatta morte dello spirito che quella vicinanza del Regno può far risorgere.

Il potere loro trasferito è sul male in qualsivoglia forma. Ma non è da trascurare che sia in un cammino ed in una provvisorietà da ospiti, proprio in quella gratuità di dono cui già accennavamo. Pare Gesù si preoccupi fin dell’esteriorità, ma guardiamo bene: l’elenco è settenario e volge, evidentemente, a rimarco alto e profetico: il cammino dev’esser semplice, libero da pesi – diremmo di povertà – molti, nei secoli, l’hanno così interpretato nella storia della Chiesa. Via il peso del denaro mondano (ma anche del culto del tempio), via lo zaino delle cibarie e la valigia delle vesti, i sandali non sono per i servi (propriamente gli schiavi che lavano i piedi) e il bastone pone più rimarco a meta lontana che ai fratelli da incontrare.

Poi c’è l’ospitalità da accogliere con la cura di osservare chi sia degno di ricevere immagine di Gesù e dove entrare con quel garbo (lui, ci dice l’Apocalissi, sta alla porta e bussa) per rimanere nella semplicità e delicatezza dell’ospite, ma prima si rivolga il saluto, quello shalom, quel dono di pace che non dice solo cortesia formale.

Il Signore aggiunge anche qualcosa per chi non accolga; è un gesto, quello dello scuotere la polvere dai piedi, che non è tanto di severità di condanna, piuttosto dichiara pagana la gente che rifiuta. È il gesto che l’Ebreo faceva lasciando una terra diversa dalla sua – la promessa – prima di rientrarvi. Per i pagani non c’è condanna, la misericordia del Signore ha altri appelli.

Ecco un po’ una lettura del vangelo: non è cronaca che delinei fatti passati e d’altri, ma un appello a tutti, a noi.

Siamo noi i discepoli inviati, è per noi l’indicazione profetica dell’essere sulla strada di incontro degli uomini per annunciare la vicinanza del regno, per attuare l’annuncio nell’essenzialità di Gesù e nell’amabilità cortese dell’ospite presso un fratello, sempre.

 

Don Giovanni Milani