RELIGIONI, LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI.
4ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Nel ministero di Gesù a Gerusalemme, Matteo inserisce e narra l’una dietro l’altra, tre parabole polemiche nei confronti soprattutto dei capi d’Israele: quella dei due fratelli, dei vignaioli omicidi e la nostra, dell’invito al banchetto di nozze. A me piace andare subito alla trasparenza della parabola e vedere, in questo re, che magnanimamente invita tutti al banchetto di nozze del figlio, il Creatore: il banchetto è l’immagine della generosa e bella creazione offerta a tutti gli uomini come segno di festa (e anche oggetto d’impegno) nel progetto d’amore che è sempre nel cuore di Dio.

È solo poi, non da trascurare il severo giudizio di Gesù che regge polemicamente l’elaborazione delle immagini; infatti, questa terza parabola, ha suscitato interrogativi nei commentatori. Lutero non amava parlarne, trovava difficoltà nel commento di un “Vangelo tremendo” dove si “gettava fuori nelle tenebre” “legato mani e piedi” chi era pur stato liberamente invitato. Ci si è addirittura chiesto, da parte di qualcuno, se potessero essere proprio di Gesù “mite ed umile di cuore” immagini come queste con la drastica condanna di chi rifiutava o solo stava senza “veste nuziale”. Forse è da richiamare, con Origene, che le parabole usano linguaggio umano, si avvalgono proprio di espressioni e immagini del tempo e della gente, per fare intendere, con l’intensità retorica corrente, l’importanza dell’insegnamento.

Procedendo con più ordine è giusto riflettere sull’invito ad un banchetto che, se avrebbe priorità, tutte respinte, è però aperto a tutti, “cattivi e buoni”, l’ordine, inverso rispetto all’usuale, sottolinea l’universalità. Nei primi invitati è immediato leggere proprio l’indifferenza di Israele – a cominciare dai capi – che non risponde all’invito del regno, si occupa d’altro e risponde fin con paradossale violenza (facile però trovarla, nella storia, contro i profeti inviati).

Proprio l’invio di truppe in guerra e l’incendio della città (che paiono così forti nell’immagine di un Dio che è Padre) ci mostrano, in anticipo sulla storia, la distruzione di Gerusalemme, ma anche profeticamente una Gerusalemme che, nel suo tradimento dei profeti inviati, è superba ed autoreferente Babilonia e come tale condannata.

L’immagine della punizione è apocalittica, la città distrutta è qui, in simbolo, la città di Caino: nega la fraternità e il suo incendio e distruzione è disfatta del male per porre via alla conciliazione e alla fraternità di comunione.

Ma attenzione forte, soprattutto noi, dobbiamo porre alla “veste nuziale” mancata.

Se tutti, “cattivi e buoni” senza distinzione, siamo invitati, chiamati, nessuno però già lo possiede il regno, non c’è dono di grazia senza corrispondenza d’impegno. Quella grazia – ricordiamolo – ci è ottenuta dal sangue di Gesù. Non c’è – per dirla con Bonhoffer – grazia a buon prezzo, lui spiega: “Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato”.

Don Giovanni Milani