RELIGIONI: LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI
NELLA DOMENICA ‘IN ALBIS’

È rimasto nella titolazione della domenica che conclude l’ottava – giorno liturgicamente dilatato – il ricordo del segno battesimale (il messalino italianizza gli albis in vesti battesimali, e precisa siano, ormai, tolti) ma è dismissione – beninteso – solo liturgica. Il brano evangelico proposto lega continuità tra il dì di resurrezione e l’altro primo/ottavo giorno e comunica il dono del Signore risorto nello Spirito della nuova creazione per il perdono dei peccati: l’estirpazione della morte vera. Le due presenze del Crocefisso-Risorto, in verità, sono un’unica trasmissione di fiducia alla fede degli apostoli, non primi nell’incontrare il Signore che ha vinto la morte (la prima fu certamente Maria, sua Madre, secondo la ferma fiducia – tra altri – di sant’Ambrogio e del cantore sant’Efrem). Insicuri pur dopo la testimonianza delle donne, Gesù stesso li rincuora e sollecita alla fede, anche con segni tanto materiali, come ci narra Luca, nel prender cibo insieme.

Il nostro brano ci consegna segni ed espressioni che non possiamo lasciare cadere.

Innanzitutto il dono della pace. Gesù per due volte ne ravviva espressione – a scongiurare sia equivocato in solo segno di prammatica cortesia di saluto – e la connette con la missione del Padre che si deve prolungare negli apostoli.

Alla pace, c’è rischio d’abitudine come termine formale liturgico (è ben da considerare, proprio nella santa Messa): è il dono pasquale vero, non semplice augurio di tranquillità; la pace è il dono della vita nuova nella risurrezione che da Cristo si comunica a noi, nella Pasqua e nell’eucaristia.

“Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati…»”. Il soffio di vita nuova vince la morte del peccato (quello primordiale aveva dato vita nel gesto di Dio creatore) qui è la vita risorta: dono dello Spirito (già, “Chinata la testa”, era stato emesso dono universale dalla croce, ora è consegnato specificamente alla Chiesa perché operi la vittoria sul peccato: vera morte.

Il Signore è proprio il crocefisso risorto e mostra le ferite, ora gloriose, ai discepoli. Per noi, il senso più forte ed evidente, è nel richiamo a Tommaso. Tommaso, che è sottolineato sempre come il Gemello, benché il suo stesso nome abbia proprio quel senso; mi piace qui farlo gemello alla mia incerta fede che si illude trovare certezza nelle dita, nella constatazione materiale.

Ma certamente il Gemello, non ha avuto bisogno di toccare, non ha messo la mano (è falsa la lettura del Caravaggio). La voce del Signore – come a Maria al sepolcro – ha instaurato legame che ha dato senso pieno alla fede, capace allora di un’espressione così compiuta: “Mio Signore e mio Dio”, con i due appellativi che toccano il cuore del mistero: il “Nome”. La fede ha davvero raggiunto il punto più alto.

Tommaso ha raggiunto e ben goduta beatitudine di visione, il Signore però l’ha proclamata anche per me, perché nel dono di questa vita nuova – forte a vincere il peccato – la mia fede possa gustare beatitudine.

 

Don Giovanni Milani