RELIGIONE: LA MEDITAZIONE
DI DON GIOVANNI MILANI
NELLA PENULTIMA DOMENICA
DOPO L’EPIFANIA

Come per molti passi del vangelo, anche per questo, per i suoi veri o supposti paralleli, si è parecchio scritto occupandosi fin troppo dei personaggi più che dell’insegnamento del Signore Gesù. È questo che conta e vogliamo su questo riflettere.

Mette conto ricordare come avvenivano i banchetti, anche in Palestina, dopo ch’era invalso il modo greco-romano del triclinio: con l’adagiarsi a tavola, pur se qui erano solo gli uomini a farlo; le donne servivano ed avevano luogo loro per prendere cibo. Dunque Gesù accetta l’invito d’un fariseo ed è disteso quando, “una donna, una peccatrice di quella città”, è ben rimarcato dal testo: “stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo”.

Benché la frequente lettura del brano e la figura accogliente del Signore, abbia facilmente indirizzato le nostre simpatie su quella donna, dobbiamo ammettere che la scena avrebbe imbarazzato chiunque – noi compresi – quanto più chi, là erano molti, conoscesse la donna a noi ignota. I gesti – vero, che lì erano in pubblico, con aggiunta per sovrappiù, anche del pianto – sarebbero parsi nient’affatto equivoci in profferta di sé.

Anche noi avremmo rischiato i pensieri di Simone circa il giudizio sulla donna e su Gesù.

Ma Gesù profeta lo è proprio e risponde pure ai pensieri del fariseo con la paraboletta-domanda che vuol far innanzitutto pensare a logiche di perdono, non di pretesa giustizia degli adempimenti farisaici.

Il perdono non è solamente l’agire del creditore della parabola è quello del Signore che, creditore lo è anche per noi: lo richiamiamo ogni giorno nel Padre nostro, promettendo imitazione. Simone sospetta una trappola, tanto è semplice la richiesta, Gesù invece vuole richiamare di partire da se stessi nel giudicare.

Il fariseo pretende distanza morale dai peccatori, l’istintivo sentirsi separato, puro, superiore (anche noi ci dobbiamo pensare) e Gesù è costretto a far riflettere, a invitare a guardarsi dentro. Il primo insegnamento è dunque il non guardar fuori: guardare agli altri, forse anche per scusare se stessi e – peggio – per sentirci avanti agli altri, addirittura confortati della nostra giustizia.

Intriganti poi sono le due sentenze incrociate di Gesù. “Sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. È il nostro amore che causa il perdono o è il perdono che causa l’amore?

Mette poco conto buttare in filosofia.

Lo sappiamo bene quanto siamo stati amati e prevenuti dall’amore di Dio: sino alla croce e ancor di più, sino alla resurrezione.

Vale molto meglio la spesa riflettere alle nostre accoglienze solo formalmente offerte, senza baci di deferenza e garbo d’acqua per i piedi: tutti noi ne abbiamo ben più di Simone.

Abbiamo ben da pensare al nostro modo di rapportarci al prossimo perché sia lontano da pretesi confronti; poi alla logica del Signore Gesù: è quella dell’amore e del perdono, perché anche la nostra relazione con lui possa sempre meglio affinarci verso la sua capacità di amare che è l’abbracciare.


Don Giovanni Milani