UN MALATO IMMAGINARIO
FRIZZANTE DI RISATE
CON “STIVALACCIO TEATRO”

LECCO – Al cineteatro Palladium l’anno è stato inaugurato all’insegna della risata genuina e autentica, grazie al ritorno – martedì 14 gennaio – degli irresistibili attori di Stivalaccio Teatro. Molti fra il pubblico lecchese già li conoscono (Don Chisciotte, Festival Ultima Luna, estate 2018; Romeo e Giulietta, stagione teatrale 2019) e non hanno voluto perdere Il malato immaginario (L’ultimo viaggio). Si tratta del terzo episodio della trilogia, nata dall’estro inventivo di Marco Zoppello (autore dei testi e regista), che si sposa alla maestria comica di Michele Mori. In questi anni Stivalaccio Teatro ha conquistato platee di tutta Italia, si è imposto all’attenzione della critica, è diventato un caso di studio.

Ritroviamo quindi gli eroi protagonisti, due saltimbanchi male in arnese, tali Girolamo Salimbeni di Firenze e il padovano Giulio Pasquati, figure realmente esistite che, assorbite nell’immaginario di una Commedia dell’Arte rivisitata, diventano personaggi fantastici capaci di viaggiare nello spazio e nel tempo. Sono sempre nei guai: sfuggiti prima all’Inquisizione veneziana, hanno recitato davanti al re, e ora eccoli in costumi sfarzosi (a distanza di circa un secolo) addirittura come attori a fianco del grande Molière. Ancora una volta saranno loro a salvare la situazione.

Tutto sta andando a rotoli: la compagnia ha dato forfait perché non pagata e il Maestro questa sera si rifiuta di recitare, deluso perché il re Luigi XIV disdegna il suo lavoro (Il malato immaginario). Il problema è serio, perché il pubblico è già in sala, scalpita e attende da circa un’ora. Di rimborsare il biglietto, non se ne parla, perché Girolamo si è giocato tutto l’incasso alle scommesse (lotta di galline). E allora bisogna inventarsi qualcosa…

Si è già avviato il meccanismo preferito di Stivalaccio: l’abbattimento della quarta parete e l’improvvisazione. Assistiamo infatti a un continuo fuori e dietro le quinte e diventiamo noi il pubblico di quel 17 febbraio 1673 (data non casuale, come si vedrà): avvisati che purtroppo lo spettacolo non andrà in scena per l’indisposizione del Maestro, gridiamo il nostro malcontento, qualcuno protesta per avere indietro i soldi del biglietto… Scatta subito l’empatia e la complicità e dalla platea arriva anche la soluzione: per convincere Molière a recitare, se il re non è in sala, qualcuno “farà” il re! Ed ecco che Girolamo scende in platea, individua uno spettatore, lo veste con mantello e corona e, dopo un breve esame di francese maccheronico, con la solenne frase “Se commènc”, lo spettacolo può avere inizio. Il fondale verticale si scompone in blocchi rovesciati a terra a formare una pedana, ed è questo il segnale che ora si reciterà la commedia di Molière.

Il malato ipocondriaco (Stefano Rota) è vittima dei ciarlatani dottor Purgone e dottor Diarroichus, gretti rappresentanti di una categoria parassitaria, senza alcun senso etico. Sua moglie (l’ottima Anna De Franceschi), tutta moine e lusinghe, è interessata solo alla firma del testamento; c’è poi la figlia Angelica (Sara Allevi), innamorata di Cleante (Michele Mori) e decisa a non sposare il figlio del medico scelto dal padre. Naturalmente l’astuta serva Tonina (Marco Zoppello), guidata dal buon senso terrigno e popolano (“se fa male la testa, vuol dire magnà; se fa male la pancia, vuol dire cagar”), riuscirà a condurre le vicende nello scioglimento comico.

I personaggi hanno tratti caricaturali e comici: i dottori sono corvi del malaugurio che manovrano gigantesche tenaglie o siringhe, l’innamorato Cleante è un giovane fatuo, Tommaso il futuro sposo è manovrato dal padre… Il tutto in un mix esplosivo e irresistibile di gag comiche, giochi di parole, plurilinguismo (dialetti, francese, storpiature varie) ammiccamenti alla contemporaneità, comicità fisica, mimi, intermezzi musicali.

Il meccanismo metateatrale è sempre sottotraccia: sul testo del Malato immaginario, si innestano le storie personali degli attori e addirittura quella privata dello stesso Molière, raggiunto in scena dalla figlia che vuole votarsi al teatro. Così la trama nota del capolavoro si smaglia, si inarca in imprevisti comici, si interrompe e soprattutto le vicende personali si sovrappongono al testo: l’inimicizia tra la figlia e la matrigna riflette la rivalità fra le due attrici; l’opposizione di Argante alla figlia adombra la preoccupazione di Molière per la figlia, a cui vuole evitare le fatiche e delusioni di una vita dedicata al teatro.

Finché Argante-Molière crolla e muore in scena, riconciliato con la figlia, che accoglie nella compagnia. Il re del teatro è morto, ma il teatro vive e le sue opere continueranno a divertire il pubblico. Perciò bando alle tristezze e “Viva il teatro, viva la commedia!”, ci invitano a gridare i ragazzi di Stivalaccio. Due ore godibilissime, a ritmi serrati, con attori di grande talento che non si risparmiano.

Gilda Tentorio