I MIGRANTI SBATTUTI IN STRADA.
IL 31 DICEMBRE LASCIANO I CAS
ANCHE MAMME E PSICHIATRICI.
PREVISTO MA SENZA SOLUZIONI

LECCO – Dal primo gennaio 2020 centinaia di migranti usciranno dai progetti di accoglienza lecchesi e letteralmente si riverseranno in strada. Madri con bambini, pazienti psichiatrici, soggetti ospitati gratuitamente dai centri, in molti verranno esclusi dal circuito dell’integrazione con prospettive da allarme sociale a cui per il momento non è stato posto alcun argine, e il tempo stringe.

I toni con cui ne parlano gli operatori del settore sono tra il preoccupato e l’allarmato, misti a frustrazione per il silenzio che arriva dagli enti che dovrebbero prepararsi a gestire una dinamica delicata e ampiamente prevista.

Scadono infatti il 31 dicembre i bandi per l’accoglienza dei migranti nei Cas lecchesi, già in proroga dallo scorso agosto, e a sostituirli vi saranno contratti ancor più “capestri” voluti dai noti decreti Salvini lasciati in eredità dal precedente governo: meno ore per l’integrazione, per i corsi di italiano e i laboratori, via molti professionisti tra i quali lo psicologo, e tagli al personale (ad esempio, scendono a due gli operatori del turno di notte nei grandi centri con centinaia di persone, presenza che sparisce del tutto negli appartamenti).

Condizioni che hanno portato alcune cooperative – su tutte quelle che non hanno nell’accoglienza la loro principale attività – a rinunciare al nuovo bando, mentre altre vi hanno preso parte mettendosi una mano sulla coscienza perché il contributo statale non era sufficiente prima e non lo sarà certo con la stretta del prossimo anno. “Non equo per chi propone il servizio e con i rimborsi che arrivano con mesi e mesi di ritardo” lamentano le coop. Ciò che più assilla tuttavia è che diventerà impossibile farsi carico degli ospiti che nelle strutture permangono a titolo gratuito, lì o per accordi presi nel bando o perché, e i casi sono numerosi, una volta vista rigettare la richiesta d’asilo rientrano nell’unica realtà che ricorda loro una casa.

I Cas – ma dal 2020 non potrà più essere così – preparano i migranti all’indipendenza con corsi di lingua, educazione civica e professionali, a molti di loro non servirebbe più nulla se non la custodia sociale. Le Commissioni purtroppo non sono tenute a valutare il livello di integrazione di ciascun migrante, raggiunto proprio durante i lunghi tempi di attesa della sentenza. Così facendo queste persone si ritrovano in un limbo: “Rientrare al loro paese è visto come un fallimento – ci confidano alcuni operatori esperti – ma senza l’asilo non sono in regola, non possono lavorare e non trovando di che vivere tornano da noi. L’alternativa sarebbe delinquere“. L’accoglienza ovviamente è offerta senza le vituperate remunerazioni statali, e non può limitarsi a un piatto caldo e ad una doccia ma va garantita assistenza medica e sociale.

“Il flusso di migranti nella provincia di Lecco si è arrestato e assestato – confermano sempre fonti interne al sistema accoglienza -, il Ministero dell’Interno nell’ultimo anno sta lasciando che i grossi centri del nord si svuotino convergendo i nuovi sbarcati su quelli del meridione”. La popolazione però questo non può percepirlo perché “anche nel nostro territorio chi lascia i Cas ha poche alternative se non il bivacco” dunque sempre più migranti occupano portici, mezzanini, stazioni, qualunque posto possa dar loro riparo. E adesso arriva l’inverno.

In questo “esercito di sfollati” gli asiatici e i nordafricani hanno una rete di connazionali nelle grandi città presso i quali spesso riescono ad inserirsi e stabilizzarsi, un paracadute assai più raro per i migranti provenienti dall’Africa sud sahariana, che dunque si rivelano essere le prede più ghiotte per la criminalità, unico ambiente ad offrire loro la sopravvivenza.

Così fino ad oggi. Dal prossimo anno il numero di questa moltitudine è destinato a crescere ulteriormente, proprio a causa dei nuovi bandi ridotti ai servizi essenziali. Senza giri di parole, sull’uscio vi sono pure soggetti vulnerabili: decine di mamme con bambini e altri che necessiterebbero di assistenza sanitaria o psichiatrica.

“Al centro possiamo seguirli ogni giorno, assegnare i medicinali, gestirli nei momenti di crisi. Cosa succederà quando si ritroveranno soli non possiamo prevederlo, e questo preoccupa tutti” dagli operatori che conoscono la situazione in profondità, alle autorità, ma pure i cittadini è giusto che sappiano e si preparino.

Molti si riverseranno su Caritas, Onlus varie e altri centri di volontariato: queste realtà riusciranno ad assorbire il colpo? “Quello che manca nel territorio sono strutture adeguate che possano prendere in carico almeno i soggetti più vulnerabili”, lamenta un ambiente professionale cosciente della potenziale criticità e che non vede rassicurazioni. Il problema è noto da tempo sia agli operatori dei Cas sia agli enti pubblici preposti – dalla Prefettura a scendere – e già se ne parlava prima della scadenza naturale di bandi, quella di agosto, ma durante questi mesi sono arrivati solo rimpalli di competenze, latitano invece le risposte.

“I tempi sono strettissimi: l’emergenza è già domani e la soluzione serviva avercela ieri” si sfoga un portavoce.

Cesare Canepari