RIONDINO IN SCENA AL SOCIALE
CON “ANGELICAMENTE ANARCHICI”
ALL’OMBRA DI DON GALLO E FABER

michele riondino_angelicamente anarchiciLECCO – Mentre ancora la scena è in penombra, un uomo con cappello e sigaro sta seduto, forse assopito. Intanto si leva la famosissima canzone di Fabrizio De André Creuza de mä che, grazie a un dialetto genovese impastato di suoni esotici ed evocativi, crea un’atmosfera soffusa di mare, nostalgia e partenze. Non c’è dubbio: siamo a Genova. Per tutto lo spettacolo la musica, declinata nelle splendide canzoni-poesie di Faber, avrà il compito di delineare lo spazio, che diventa anche paesaggio dell’anima.

Le prime parole sono infatti per la capitale ligure, “una città che si svuota”: molti se ne sono andati. La partenza, d’altronde, è nella natura stessa di Genova, che è anzitutto porto spalancato sull’orizzonte del viaggio. Da qui è partito anche il protagonista, interpretato dal giovane Michele Riondino, volto noto del grande schermo (Antonio Ranieri, ne Il giovane favoloso di M.Martone, 2014) e della fiction (Il giovane Montalbano) e grande amante della musica (direttore artistico del concerto del Primo Maggio della sua Taranto). Più volte ha però dichiarato che solo a teatro si sente veramente a casa, e dal 2012 affianca alla recitazione anche l’impegno di regia. Così è anche in questo suo lavoro, Angelicamente anarchici, che prende il titolo dall’autobiografia di don Andrea Gallo (Mondadori 2005).

michele riondino_angelicamente anarchiciIl personaggio in scena è proprio don Gallo (1928-2013), che amava definirsi “prete da marciapiede”, una lunga vita di lotte e proteste che hanno scandalizzato ipocriti e benpensanti: partigiano, comunista, militante per la pace e per tutti i reietti ed emarginati (fondatore della Comunità San Benedetto al Porto). Riondino ce lo mostra in un non-luogo di sospensione e attesa post-mortem. Qui egli pensava di poter finalmente riposare, aveva dato appuntamento agli amici, fra cui “il poeta Fabrizio”, a cui lo legava un’intensa amicizia. Invece si ritrova solo, senza neppure un fiammifero per accendersi il sigaro, con mille storie in testa e nessuno a cui raccontarle.

Eppure l’urgenza di narrare è insopprimibile e così don Gallo comincia a ricordare. Le sue parole rievocano il panorama dei carrugi malfamati di Genova cantati da Faber: il giudice nano e deforme, assiduo frequentatore delle prostitute di Via del Campo, l’indimenticabile Boccadirosa, il protagonista follemente innamorato de La Ballata dell’Amore Cieco. Don Gallo traccia le storie a parole, e la canzone di Fabrizio completa il quadro o accompagna il racconto. Più volte torna l’immagine dell’abbraccio, quello disegnato dal porto di Genova ma anche dal colonnato di piazza San Pietro: “ogni volta che apri le braccia, cadono i muri”. E don Andrea non ha certamente perduto la sua forza leonina da “mangiaprete”: gli alti prelati non vedono chi annaspa nel fetore dei vicoli. Paludati nelle porpore cardinalizie, come possono “indossare” i pensieri degli ultimi, cioè farsene carico e patire con loro? “Le cose belle sono mille volte più belle se si fanno insieme”, sostiene don Gallo, che considera peccato l’assenza di amore.

michele riondino_angelicamente anarchiciInteressante l’uso di luci e proiezioni. Ad esempio all’inizio sullo schermo bianco si staglia, del tutto simile all’ombra del protagonista, una sagoma nera che a poco a poco prende vita autonoma. Si tratta di un segnale che riflette la natura bifronte dello spettacolo: parla Don Gallo ma l’ombra di Fabrizio accompagna sempre i suoi racconti. Passano poi sullo schermo nuvole, sbuffi di inchiostro, forme intricate, tracce stilizzate di una casa, e poi don Gallo stesso, gli scontri al G8 di Genova, alternati a bandiere della pace e protagonisti come Lennon e Gandhi. Ma anche gli “angeli del fango” di Firenze, proprio mentre don Gallo invita a inseguire l’utopia e “a costruire un nuovo mondo pezzo per pezzo”. E infine, i musicisti che hanno suonato dal vivo, celati dietro lo schermo, si rivelano: Francesco Forni, Ilaria Graziano, Remigio Furlanut, a cui si aggiunge Edoardo Cremonese per un extra finale.

L’esperimento è nel complesso riuscito, nonostante sfilacciature di ritmo e mordente, soprattutto nella prima parte: forse aiuterebbe maggiore attenzione alla coesione d’insieme e all’impostazione dialogica a staffetta, tra il “prete rosso” e Faber. È mancata la calda voce profonda e inimitabile di Fabrizio, ma fra il pubblico molti sussurravano a mezza voce le sue notissime canzoni. Gli applausi finali hanno premiato la tenuta scenica di Riondino, come pure la volontà di offrire un tributo ai due “angeli anarchici” di Genova: “Certi uomini vanno via e basta; altri, quando se ne vanno, ti costringono alla solitudine; ma poi di rado accade che uno su un milione se ne va e si porta via tutto, e ti lascia solo, all’interno di un deserto”.

Gilda Tentorio

Foto credit: www.teatrocarcano.com