TRATTA UMANA E IMMIGRAZIONE
ILARIA SESANA SPIEGA LE NUOVE
FRONTIERE DELLO SFRUTTAMENTO

LECCO – Se l’immigrazione è un tema centraleQLL tratta ilaria sesana nell’attuale dibattito internazionale, italiano e locale, non sempre esso viene messo in relazione ad altri fenomeni che sono tuttavia strettamente connessi: l’accoglienza – e la mala accoglienza – e la tratta umana con il carico di sfruttamento e sofferenza che comporta.

Per fare chiarezza su questo snodo Qui Lecco Libera, la Casa sul Pozzo e L’Altra Via hanno organizzato alla Casa sul Pozzo un incontro pubblico con Ilaria Sesana, giornalista che dal 2008 si occupa di inchieste e approfondimenti su tematiche sociali. “L’Italia ha a che fare con la gestione dell’immigrazione da vent’anni – esordisce – e se ne parla sempre come di un’emergenza, anche se dopo tutto questo tempo non dovrebbe essere più considerato un tema emergenziale. Negli ultimi due anni, a seguito della guerra in Siria e dell’avanzare del terrorismo, gli sbarchi sono aumentati in maniera esponenziale e il sistema è scoppiato: così si è pensato di istituire i centri straordinari di accoglienza (CAS) gestiti dalle prefetture. Si tratta di modelli calati dall’alto, in cui non sono i comuni a farsi avanti per la gestione dei centri ma delle realtà del terzo settore e in alcuni casi anche dei privati come albergatori o persino, è capitato, pizzerie, senza che questi soggetti abbiamo delle competenze da mettere in campo. Questo tipo gestione, non sempre ma spesso, suscita le proteste sia delle amministrazioni sia dei cittadini”.

“Accanto ai CAS – spiega Sesana – ci sono poi i centri SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) i quali oltre al vitto e all’alloggio forniscono assistenza medica e legale, servizi di intermediazione culturale e di insegnamento della lingua italiana, aprendo le porte ad una forma di integrazione più reale. Sui 99 mila migrati accolti dal 2015, il 70% è finito nei CAS un sistema che non offre servizi ma solo ‘un parcheggio’, con un costo di un miliardo di euro. Il 21% invece è stato accolto negli SPRAR, potendo usufruire di tutta una serie di servizi, per un costo totale di 20 milioni di euro. Viene spontaneo domandarsi il perché di questa differenza e soprattutto dove vada a finire questa differenza. In ogni caso, una volta inoltrata la richiesta d’asilo, bisogna spettare almeno un anno perché essa venga valutata dalla commissione ed è proprio in questo contesto che prospera l’illegalità e – soprattutto nel sud Italia – il lavoro nero, che costituisce l’unico modo per recuperare qualche risorsa”.

QLL tratta 1Proprio questa considerazione traghetta il discorso verso l’altro tema della serata: le vittime della tratta e dello sfruttamento. “In Italia dalle 50 alle 70 mila donne sono costrette alla prostituzione e tra loro circa la metà sono di origine nigeriana – continua la giornalista – Il fenomeno della prostituzione nigeriana in Italia è diffuso da almeno dieci anni, ma nell’ultimo periodo qualcosa è cambiato. Se nel 2013 le donne sbarcate in Sicilia erano 433, nel 2014 sono state 1.454 e nel 2015 5.633. Questo ci dice che sono cambiate le modalità della tratta: se prima le nigeriane venivano messe su un aereo con un visto falso, oggi partano dal loro paese, attraversano l’Africa centrale, il deserto del Sahara e giungono in Libia, dove vengono caricate su un barcone. Ed è già lungo questo percorso che cominciano ad essere sfruttate, all’interno dei bordelli situati nei maggiori centri di passaggio. Ma vediamo chi sono queste donne: sono ragazze sempre più giovani, provenienti dalle campagne o dai quartieri più degradati delle città del sud della Nigeria. Molto spesso sono analfabete e quasi sempre vengono avvicinate da agenti che propongono loro di andare a lavorare in Europa, la famiglia di origine incoraggia questa iniziativa oppure addirittura vende ai loro aguzzini le donne. Alcune di loro sono del tutto inconsapevoli di ciò a cui stanno andando incontro, altre invece sanno di doversi prostituire, ma pensano di riuscire poi a uscirne alla svelta”.

“Una volta accettato il viaggio – illustra ancoraQLL tratta 3 Sesana – le ragazze vengono sottoposte ad un suggestivo rito vudù detto ‘juju’ da parte di uno sciamano, il quale per via della loro cultura le terrorizza e le soggioga completamente. Dopodiché partono, contraendo così un debito che va dai 20 ai 50 mila euro, che sanno di dover saldare e che trovano anche giusto farlo. Tuttavia non sempre è chiara quale sia la valuta di questo importo e non sanno che anche una volta arrivate in Italia il loro debito continuerà a crescere. Una volta sbarcate, queste donne devono fare una sola cosa: telefonare ad un numero scritto su un bigliettino, mettendosi così in contatto con l’ultimo anello della catena del loro sfruttamento: la ‘maman’. Questa donna ha potere di vita e di morte sulle ragazze, che sono costrette a prostituirsi giorno e notte, svendendosi letteralmente: un rapporto completo con una nigeriana costa venti euro, in questo modo i tempi per saldare il prestito si dilatano enormemente. Con ogni maman vivono cinque o sei ragazze per appartamento, dal quale escono solo per prostituirsi: in questo modo la maman diventa l’unico contatto con il resto del mondo”.

“Negli ultimi anni le cose cambiate – prosegue la giornalista – con l’arrivo di Boko Haram in Nigeria le donne vengono portate nei centri di accoglienza e questo fa parte del piano della tratta: una volta infatti inoltrata la domanda di asilo le donne non possono essere espulse prima di andare davanti alla commissione e spesso è già dall’interno del CAS che cominciano a prostituirsi. Durante uno sbarco individuare le vittime della tratta è molto difficile e anche nei centri di accoglienza spesso mancano gli strumenti per intervenire. Dobbiamo sottolineare che non è l’accoglienza a creare problemi ma la mala accoglienza: nei centri in cui si lavora bene si riesce a combattere lo sfruttamento e ad evitare che le organizzazioni criminali si inseriscano in questa rete”.

A confermarlo è anche la testimonianza degli operatori della cooperativa Arcobaleno che ha in carico il centro di Sueglio: “Nel nostro centro abbiamo individuato ragazze vittime della tratta delle schiave, che sono state adescate in Nigeria con la promessa di un lavoro, ma una volta arrivate in Italia sono state costrette a prostituirsi sotto minaccia. Le abbiamo convinte e sostenute nello sporgere denuncia e le autorità sono consapevoli di questi casi. Ma per garantire loro protezione abbiamo dovuto rivolgerci a una struttura di Sesto San Giovanni perché a Lecco non abbiamo risorse”.

 

Manuela Valsecchi