CARLO SINI E MASSIMO DONÀ
PARLANO DI ARTE, FILOSOFIA
E LINGUAGGI CONTEMPORANEI

CARLO SINILECCO – Qual è la cifra del linguaggio filosofico? E quella del linguaggio artistico? Quale di queste forme è più adatta alla rappresentazione della realtà? Qual è il loro rapporto con la cultura contemporanea? I lecchesi hanno avuto modo di confrontarsi con questi temi – non esattamente di tutti i giorni – ieri sera alla camera di commercio, seguendo il dialogo tra niente poco di meno che “Il” filosofo Carlo Sini e Massimo Donà, professore all’università di Venezia e al San Raffaele.

“‘La figura è la matrice di ogni senso’ si legge in un testo del maestro – comincia Donà alludendo a Carlo Sini – il quale attribuisce un ruolo forte alla figura, a partire da cui avvia una riflessione sulla differenza tra confine e limite. La scrittura filosofica si costituisce come disegno: quale può essere la differenza tra confine e limite rispetto alla questione del disegno? Il discorso filosofico nasce in rapporto strettissimo col gesto del disegnare che è innanzitutto tracciare un segno nero su un foglio bianco. Il segno traccia una distinzione, un al di là e un al di qua del segno. La filosofia ha cercato da sempre di disegnare il limite tra positivo e negativo, essere e nulla, bene e male… tutte le opposizioni fondamentali innervano ogni nostro discorso e giudizio intorno alla realtà. Tutti questi giudizi presuppongono un disegno, cioè una distinzione, originario. Ma chi lo possiede? Nessuno apparentemente, eppure il disegno è un gesto della mano che fonda l’idea stessa di sapere: il termine stesso ‘comprendere’ richiama il gesto pratico del prendere, mentre la pratica più filosofica, astratta, concettuale, produce la determinazione di significati universali inevitabilmente confusi. Invece la cosa concreta sembra essere alla portata del pittore, che può segnare ciò che l’esperienza quotidiana e l’attività filosofica non riusciranno mai a comprendere”. Dunque Donà ci sta dicendo che nonostante la vocazione della filosofia sia quella di tracciare segni per delimitare e quindi rendere conto, spiegare la realtà, essa finisce proprio per fallire questo compito. A differenza dell’arte invece che non avendo la pretesa di spiegare la realtà costruendo dei concetti, riesce a renderne conto proprio perché utilizza un linguaggio diverso.

MASSIMO DONASembra di tutt’altro avviso Carlo Sini: “Il pittore arriva troppo tardi, il suo sogno è un sogno di reminiscenza di cui l’artista stesso non sa nulla. La divisione non è un principio metafisico o un paradosso logico ma è una divisione originaria: è il corpo originario scisso, che è scisso perché è nato. La divisione originaria ‘accade’ nel momento stesso in cui accade il corpo: il corpo è la soglia vivente, è la primordiale soglia che demarca ‘mio e tuo’ ma non parte né dal mio né dal tuo. Massimo Donà oppone il discorso concettuale della filosofia al disegno dell’arte: io non ci credo – prosegue Sini – Certo è da tanto tempo che mettiamo così le cose. Però sul piano della comunicazione i concetti filosofici sono di una potenza estrema: ti dicono come stanno le cose in verità, cercando di eliminare il ‘rumore’. Questo è quello che avviene con Aristotele: egli sa che non si può definire l’individuale ma costituisce lo stesso una conoscenza analitica e universale. Quel rumore di fondo che è stato levato dalla filosofia è l’individuo vivente. Il tema del rapporto tra arte e filosofia dobbiamo guardarlo da quella soglia in cui accade l’esperienza fondamentale della parola, non intesa come informazione neutra e pulita, ma parola come appartenenza, come comunità che è ciò che sta alla base della conoscenza: perché essa si dia deve esserci un interesse comune anzitutto”.

SINI E DONA02Per esemplificare questo discorso di non certo immediata comprensione, il professore fa un esempio: “I fisici sono convinti di dire come il mondo è. Ma questa è una fiaba: la loro fiaba, che funziona nell’ambito che compete a questa fiaba. Ciò di cui parlano, ‘la natura in sé’ sta fuori dalla storia che raccontano ma è presupposta dalla storia stessa. I riti, le favole, i miti non ci sono più. Si sta determinando una cultura planetaria che sta cancellando tutte le storie in virtù di un’unica storia: quella dei fisici, per semplificare. Lo svantaggio è che la riduzione dei linguaggi all’unica storia dei fisici, della comunicazione universale, produce la distruzione della comunità perché cancella dalla parola l’esperienza originaria della parola che non dà informazioni ma invoca. L’arte è una buona compagna di strada ma non basta, ci vuole la storia della filosofia che riesce a smentire se stessa, mostrando in questo esercizio che cos’è l’esperienza della verità: è l’esperienza dell’infinito, entro cui dobbiamo creare una comunità e non solo l’efficienza”.

Dal pensare alla differenza tra i due linguaggi della filosofia e dell’arte ad una critica puntuale della cultura contemporanea, fondata su un sapere che mira solo all’efficienza, da raggiungere attraverso il metodo tecnico-scientifico e che ha una caratteristica: quello di essere totalizzante. Un sapere, quello che caratterizza la società contemporanea, che non lascia spazio ad altre forme espressive e in ultima analisi non lascia spazio neanche all’uomo.

 

Manuela Valsecchi